Com’è bello il mio piede che ritorna
Com’è bello il mio piede che ritorna
Inciso e modellato dal passaggio delle cose
Come e forse più della mia faccia.
Un piede che ha volato,
che ha lasciato una teoria di impronte silenziose sulle colline
quando c’era ancora il fango della primavera
e che ora sono un rosario di fossili velati dalla polvere calcinati dal sole
Un piede-bussola che è saltato dove non c’era strada
Che ha strisciato con dignità mendicando gli ultimi metri prima della notte
(sulle sue unghie la luna si scioglieva in riflessi madreperla)
e scaricato a terra come un parafulmine
i dolori e le imprecazioni di mezzo corpo e di tutta un’anima
Ha nuotato silenzioso in acque fredde come un pesce
Vestendosi di squame
È stato geometra agrimensore costruttore
Perché ogni passo è un ponte costruito su un respiro
Se ha sbagliato strada ha pagato pegno per primo
Con pezzi di sé stesso, con fiori di cicatrici color vinaccia
Che sulla mia pelle sorridono ancora.
Il mio piede è la radice mobile che ho estirpato dalla mia terra
Ha unghie forti come artigli posso dormirci appeso
Capovolto col sangue agli occhi mentre rido
come un pipistrello ubriaco
il mio piede mazzetta strusciata sulla grancassa del mondo
Amplificatore e miccia di ogni mio pensiero
Che ha sostenuto, sospinto, scacciato da sé
Come un brutto sasso
A volte con dolore
A volte sulla strada è rimasto impigliato in un sorriso
Sulla soglia di una casa offerta e pagata con lo scambio di uno sguardo
E di una parola
A volte a cambiato strada e il corpo l’ha seguito
Perché l’istinto cresce a terra come l’erba
E gli occhi leggono le mappe
Mentre i piedi seguono la terra
Come è bello il mio piede
Che torna e guarda la mia casa dall’alto
Il mio piede che nessuno ha voluto lavare
Tranne me stesso
Perché il mio piede è un’arma
Troppo ha calpestato troppo ha preso a calci
Un piede non perdona
Solo gli occhi talvolta lo fanno
Un piede dice sempre il vero
Non può farne a meno non si può chiudere come gli occhi
Solo quando si muore si può sospenderlo da terra
Quanto basta a interrompere il suono della vita
come sollevando la puntina di un giradischi.
Come è bello il mio piede che torna
Povero come quando era partito
Perché è fatto per spingere, per respingere
Mica è una mano, non sa afferrare e nemmeno trattenere
Mica è un occhio, non sa ricordare.
Come è bello il mio piede
Che si annuncia solenne a nessuno
Trascina me che ansimo
Verso la mia casa di ruote piatte dalla porta vuota
Lo lascerò fuori a correre, mentre metto in ordine
A prendere gli odori e i profumi del ritorno
A salutare in giro a riconoscere i segni del suo territorio
Perché adesso non mi serve, perché non sia imbarazzato, perché non si lamenti
Quando mi metterò seduto davanti a una tastiera e parlerò del mio viaggio
senza nemmeno dire che lui ne ha fatto parte
Mentre i miei occhi saranno chiusi
E le mie mani racconteranno disarticolandola la verità dei suoi passi.
(da “La febbre dei ritorni” -Quaderno di viaggio in versi 1993)