Il compianto

Prosegue una di quelle tante sperimentazioni cui teniamo particolarmente, legate alla narrazione e alle sue forme e ai suoi spazi, alla scrittura calata in spazi e contesti particolari. Con Francesca Condò continuiamo quella esperienza, iniziata qualche tempo fa  di approccio all’insolito e al meno noto nel mondo dell’arte sul limite sottile tra finzione e realtà. Potrebbe trattarsi di un diario di viaggio di pari passo nel reale e nell’immaginario o di altro… il tempo lo dirà. Il fatto che sia speciale ce lo confermano un fatto molto semplice: i diversi piani di lettura che si propongono e, al contempo, …quelli di osservazione . Sta di fatto che si tratta di una lettura davvero piacevole e per questo (e per tutto ciò che verrà) la ringraziamo.

compianto

Lo farete per me? Un cartone. Uno solo. Vi prego” accostò il volto per parlargli all’orecchio.
“Togliti. Sei un idiota, mi chiedi una cosa assurda. Davvero credi che non se ne accorgeranno?”
“Da queste parti non hanno mai visto Zorzi. Mai. E lui poi non voleva essere ritratto e anche di autoritratti mica ne ha fatti tanti”. Sebastiano si immalinconì.
“Avrei voluto averne un ritratto. Lo avrei tenuto per me. E ora invece niente. Se n’è andato. Possiamo essere così? Vento. Polvere. Qualche polvere colorata, se va bene”
“Hm. Non è lui il problema”, lo accarezzò sulla testa; accostò la mano alla gota e lo baciò con dolcezza. “Va bene. Avrai il tuo disegno. Almeno dopo fatti crescere la barba. Dannazione della mia vita. Non siete altro che sanguisughe. Tutti”.

compianto 4

Il ragazzo gridò la gioia della vittoria. Gli chiese se aveva già qualcosa in mente, se desiderasse qualcosa in particolare. Rispose di avere in sé solo immagini confuse. Tranne il suo volto, che stava inciso nella sua testa come se lo avesse di fronte, però prima che il male colpisse. Certamente il corpo perfetto, bello, amato, ai piedi della Madonna. Era morto proprio cogli stessi pochi anni di Cristo. Lo avrebbe poi fatto lui bianco, pallido, alla luce impietosa della luna, illuminato da un sudario ancora più bianco, bianco come il lenzuolo di Venere, in una notte cupa, buia e senza speranza. E così, fissato nella pala, non avrebbe mai smesso di piangerlo. Il maestro aveva scosso la testa, chiedendosi ancora come sperasse di non farsi riconoscere solo perchè portava un velo che neanche copriva il volto e una tunica azzurra, con quella sua mascella diritta, con quel collo taurino; quale idiota avrebbe potuto credere che quelle mani ossute e squadrate appartenessero a una donna? La vergine Maria, per giunta. Una sibilla, un angelo, va bene. Ma la Madonna?

Sebastiano non aveva sentito ragioni e quando il disegno fu completo si mise a guardarlo completamente assorbito, senza riuscire a spostare la testa da quel pensiero doloroso. Il Maestro pensò cupamente che se lo avessero riconosciuto nei panni di Maria lo avrebbero impiccato. Quasi si pentì di averglielo fatto, quel disegno. Poi però il giorno dopo gli era sembrato già più sereno, come se avesse finalmente iniziato a metabolizzare quella morte o almeno aveva finalmente smesso di parlare di Venezia e questo gli bastò. Quando finì il dipinto anche le sue lacrime erano asciutte, come se le avesse usate tutte per sciogliere i colori e fissare sul legno il dolore dell’assenza. A parte il fatto che sul fondo non c’erano le colline del nord con le case coloniche dalla perfezione maniacale, piuttosto scheletri di case e rami secchi – pure i bei resti antichi si erano fatti rovine, monconi che appena stavano in piedi. A parte lo sfondo infernale, però, era diventato bravo, il ragazzo. Niente da dire. E Zorzi, il magnifico veneziano, pensò il maestro guardando il corpo disteso a terra ai piedi della massiccia figura ammantata, era stato davvero una grande perdita.

Giorgio (Zorzo o Zorzi) da Castelfranco, noto come Giorgione, muore a Venezia nel 1510 a 33 anni durante un’epidemia. Sebastiano Luciani, che sarà poi soprannominato del Piombo, che lavorava presso la bottega di Giorgione, lascia Venezia e si trasferisce a Roma dove conosce Michelangelo. La Pietà della Chiesa di S. Francesco, ora nel Museo Civico di Viterbo, raffigura la Madonna col corpo del Cristo deposto ai piedi in un ambiente notturno. Il cartone sembra sia stato disegnato per Sebastiano da Michelangelo. Il volto del Cristo è assai simile a quello del San Giorgio raffigurato da Tiziano in una Sacra Conversazione ora al Museo del Prado.

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11 Domino 11

Come ogni lunedì, ci ritroviamo per il consueto appuntamento con il Domino Letterario che vi permette di assistere, stando a casa, a presentazioni a catena di libri. Tocca a Mattia Nocchi, classe 1979, toscano, batterista mancato, giornalista. Ha diretto la prima radio universitaria italiana, a Siena, prima di lavorare per cinque anni a Milano nel mondo delle emittenti nazionali (Rtl 102.5, Radio 24 – Il Sole 24 Ore). Da qualche anno si occupa di comunicazione politica, istituzionale e altre stranezze a Firenze, presso la Regione Toscana. Mattia raccoglie il testimone di Nicola Nucci e propone la lettura della raccolta di racconti di Riccardo Lorenzetti “Il paese più sportivo del mondo” (Absolutely Free Editore). Clicca qui per il video sula canale YouTube
Mattia Nocchi
Il libro – “Quando Paolo Rossi segnò il gol al Brasile… quando Villeneuve fece quello storico sorpasso… quando Coppi conquistò l’Alpe di Huez…”. Sono innumerevoli i quando entrati a far parte della nostra vita. Questo libro racconta quei momenti. La normalità dei protagonisti unita ai grandi momenti sportivi che si trovano ad assistere, anche solo davanti a una radio, a una televisione, a un maxischermo. Come quel tale che festeggiava i trent’anni di matrimonio e gli chiesero cosa ricordasse di quel giorno: “Praticamente nulla, se non che era domenica e che la Fiorentina vinse a Napoli. Segnò Antognoni, su punizione.” E poi c’è un piccolo paese toscano, più immaginario che reale. Lo chiamano “il paese più sportivo del mondo“, gli abitanti narrano storie alle quali non sarà difficile affezionarsi, perché parlano di noi. Gli abitanti del paese sono i motori delle storie: maestri e contadini, segretari comunali e preti, bottegai e bariste prosperose. Il paese più sportivo del mondo racconta storie così, dove ognuno è a suo modo protagonista di qualcosa che passa alla Storia.

 

Qui la playlist completa

Quando mi vieni a trovare…

Penso alle parole che ti vidi nascere in bocca

a quelle che ti ho sottratto

sono piante le parole

piume di scintille d’ali lontane

penombre tra i movimenti terrestri.

dehy

Penso al saluto

che mi ricamasti sulla mano

stringendola un’ultima prima volta

velluto tra corone di rose.

 

Quando vieni a trovarmi

mi siedo con te ad un tavolo di nuvole

e discuto del progetto dei miei giorni.

La chiave di sole che squadernò il compasso delle colline

il primo senso del ritorno

lo stare sempre in bilico

sull’orlo delle cose.

dehy2

E poi

l’esperienza del giorno

la gracilità dei sensi slegati e confusi a sera

le intese liquidità del mio corpo

ciò che rubai e non ho mai restituito

l’avere e il non usare,

il rispondere senza sapere il domandar sapendo

la comunione del piacere

ciò che si perse nell’ombra del viaggio.

 

Se ti fermi con me abbastanza

Senti animarsi

il pianto del mio angelo

lo stupro delle idee e della volontà

l’accesa sarabanda dei ricordi

che sono comunque e allo stesso tempo

ovunque e introvabili

come particelle di Dio.

 

Come te

spesso non ci sono.

Ma nel buio

so che posso afferrarle

ne canto la certezza

 

Xavier Ilya Calosimos

 

 

 

 

Hanno qualcosa i poeti…

 

Ragazza del Ponte Vecchio

I poeti riparano il mondo. Lo fanno stare insieme meglio che possono, e con tutto quello che hanno in tasca.

Le loro parole riparano i viventi e le loro piccole e grandi montagne che si sgretolano.

Denata balla- e a volte, con raro garbo- rima, le sue parole da sola. Se necessario anche immersa in un sottile silenzio dove a volte si sente il passo invisibile e unghiuto del dolore e della nostalgia.

I suoi passi nell’ultima raccolta La ragazza del  Ponte Vecchio (Edizioni Ensemble-2020) sono indubbiamente quelli del racconto di una vita. E sono passi difficili, a volte di corsa.  Ho scelto di fare da sola /in questo mondo di lupi./A piccoli passi – ma miei –/tutti. Sono quelli di un bambino cui si devono all’inizio legare le scarpe ma non i piedi. Perchè insegnare la libertà è importante.

Denata Ndreca non è nuova a queste nostre pagine perchè ha sostenuto e sostiene, senza mai far mancare i suoi commenti e i suoi like molte della cose che facciamo e faccio. Qualche tempo fa ci ha regalato una bella poesia per Caffè 19. Ora quella poesia fa parte di questa raccolta, che parla anche di stretta attualità.

Mi piace pensare che ogni raccolta sia in qualche modo assimilabile a un libro di viaggio, un taccuino di formazione dove la carta bianca diventa essa stessa, durante il tragitto, nitida mappa del . E le parole di Denata viaggiano nel tempo e nello spazio funzionando proprio come detonatori di sensazioni e idee. C’è in questa raccolta come si è detto il tema dominante dell’amore, in tutte le sue forme, e della memoria. Ma anche della bellezza.

La memoria  è cosa rilevante se si nasce a Scutari, la Firenze dei Balcani, cuore pulsante della cultura albanese, tra cristianesimo ed islam, tra un marciapiede dove c’è il campanile di una chiesa ed un altro dove c’è il minareto di una moschea e se poi si attraversa la storia di un Paese.

Noi albanesi,
emigranti senza le valige,
con un numero mai scritto
sopra le camice

Ma una grande anima, pur portando dentro il vento dei Balcani sa trovare autenticamente amore e bellezza dovunque si trovi, sa per esempio innamorarsi con sincerità di Firenze (Dio mio quanta bellezza), ma anche di oggetti elementari, come di una porta, di un muro,di un cuscino o di una goccia d’acqua.  Perchè ogni città, anche la più celebrata, è composta di oggetti e vite elementari

E una grande anima, soprattutto se è quella di un poeta, sa giocare. Ora, qui, quanto alla scelta del  tipo di gioco, mi capita di essere molto daccordo con Denata.  Si legge nel libro:

Facciamo che oggi nevica;
io divento terra,
e tu ti sdrai su di me.
Facciamo che oggi
le strade sono libere,
io ti vengo in contro
mentre tu corri verso di me.
Facciamo che poi
le strade si bloccano
e che non possiamo
tornare indietro.

Facciamo che …, mi ha sempre colpito questa espressione. E a voi? È qualcosa di simile al c’era una volta delle favole, in quanto come quel conosciutissimo incipit introduce di forza e senza ammettere repliche in un mondo fantastico ma è molto più potente, forse perché più simile ad un rituale magico.
Nelle favole infatti si ammette che c’era una volta proprio perché così grazie alla rapidità elementare della formula si accetta, quasi inconsapevolmente, che qualcosa effettivamente sia stato, anche se non sarà mai più, anzi forse proprio per questo, perché tanto si tratta di un lontano passato, di un’isola così remota e abbandonata che i ponti che la collegavano al corso della storia sono caduti da tempo e ciò non pone alcun imbarazzo alla nostra razionalità. Di fatto, non altera nessun elemento del mondo che conosciamo. Qui è diverso, qui non si tratta di evocare delle ombre ma di creare dal nulla un qualcosa, uno scenario che non è mai successo e  e di viverci tutti in prima persona dentro.
E se tutti sono d’accordo allora facciamo che eravamo. E quindi, siamo.

Ora mi domando, Vi domando, c’è migliore definizione della poesia?

Perciò buona fortuna, Denata, Ragazza del Ponte Vecchio.

Festival dello scrittore: il laboratorio ‘Vie brevi’ inizia il suo lavoro, iscrivetevi se avete voglia di mettervi in gioco.

Le via brevi 2

Già nutrita come vedete sotto la community. Ecco i partecipanti allo stato. Iscrivetevi!Il laboratorio di scrittura breve è quindi adesso una realtà e scrivendo un racconto in questa forma espressiva, sulla distanza delle 100 parole (parola più, parola meno, non siamo fiscali!) potrete farne parte a pieno titolo. Forniremo un feedback personale tecnico e di merito a tutti i partecipanti che servirà a condividere idee, affinare le tecniche e i mezzi espressivi e perché no a far da base per futuri contatti e collaborazioni. I migliori racconti saranno poi premiati durante il Festival.

iscritti regione per regione

 

 

 

 

#ioraccontobreve numero speciale 9

Ebbenesì, ebbenesì a volte ritornano.

#ioraccontobreve fa (eccezionalmente) nove. Per molti singolari motivi che meritano tutti di essere raccontati. I motivi sono un problema informatico, un altro problema informatico più grave e un dinosauro.

Insomma dai, microraccontiamolo:

Ricevette un bel racconto e lo selezionò per la settimana a venire. Lo mise nella cartella dei pubblicabili, già bello che pronto. Ma venne un virus informatico che scombinò le cartelle e un po’ anche il suo stato mentale, e il racconto finì tra le sue fatture. Il racconto non ci stava male, tra tutti quei numeri, ma era perplesso. Alla fiera informatica dell’est, per due soldi, comprò un nuovo pc. Ma venne la notte e arrivò un bastimento di mail arretrate, cariche di nuovi pezzi e racconti. Due, un racconto e un articolo, erano era assai belli e finirono nella cartella dei pubblicabili. L’articolo parlava di un dinosauro. Ma venne la fetida tempesta che il computer di nuovo stonò. Il raccontino questa volta finì tra i file temporanei e lì si stava proprio male, sospesi come in un limbo di insicurezza sul proprio destino. Ma venne l’angelo del pc che i due files spersi finalmente trovò. Quando ritornarono nella loro cartella, l’articolo sul dinosauro era ancora lì….

Il racconto finito tra le mie fatture è quello di Simona Trevisi, anima di Toscanalibri.it e di tutte le sue attività online. Se siete stati pubblicati lì, lei vi ha letto di sicuro e altrettanto di sicuro lo dovete a lei. Mi scuso con lei quindi, doppiamente.  Giornalista, nata a Bergamo, è laureata in Scienze della Comunicazione. Dal 2005 collabora con la società Primamedia per conto della quale gestisce le attività e gli eventi curati da Toscanalibri.it. Qualcosina in più sulla sua biografia poi, mi sa che la potete immaginare leggendo il suo racconto…

MORFEO IN SMARTWORKING

morfeo

Finalmente era scivolato tra le braccia di Morfeo. Ci erano volute due ore di canti sussurrati, pacche sul sedere a ritmo di rumba, carezze amorevoli e storie raccontate a mezza voce. Riuscì a staccarsi dalla morsa del figlio dormiente e si mise in posizione supina. Con una mossa degna di un ninja tese le gambe fuori dal letto, poggiò i piedi a terra e lentamente si tirò su trattenendo il respiro, attenta a non compiere passi falsi. Con la testa era già in postazione davanti al computer, ma il suo ginocchio ebbe l’ardire di scricchiolare. Il rumore ruppe il silenzio in cui era immersa la stanza. Atterrita si girò verso il bambino che, subito desto, sbarrò gli occhi e cominciò a mugolare tendendo le braccia. L’impossibilità di praticare lo smartworking in solitaria era sempre più lampante.

Romeo Lucchi invece, non nuovo a questi lidi, è l’autore del racconto (quello svaporatomi davanti agli occhi durante un temporale qualche sera fa) e del pezzo che segue. Il racconto è di effetto, e non c’è affatto bisogno di commentarlo, se non forse di aggiungere una osservazione che mi viene spontanea, visto che lui è attore e si occupa di teatro e io in questo momento sto recensendo un libro su Sordi. Non so se lui sarà d’accordo, ma troverà certo il modo di dirmelo. C’è infatti una cosa che unisce un attore in gamba e uno scrittore altrettanto valente, ovvero il saper maneggiare i registri comici e tragici con la stessa efficacia. Leggete su questo sito i suoi La tazza del vate o Volare e poi questa storia e mi direte…

DUE DOMANDE

Catturfiore su tomba

Perché si muore? chiese il bambino al vecchio. Il vecchio spostò lo sguardo sulla tomba della moglie. Il bambino attese con gli occhi spalancati come se la risposta dovesse passare da lì. Il vecchio si piegò sulla tomba, prese il vasetto con i fiori appassiti e li gettò nel bidone vicino, andò alla fontana e mise l’acqua nel vaso dove sistemò un mazzetto di aster viola. Ripose il vaso sulla tomba e accarezzò la testa del piccolo. Perché si nasce se poi si deve morire? chiese il bambino. Il vecchio lo prese per mano e insieme si allontanarono senza risposte.

  E veniamo all’articolo, sempre dello medesimo Lucchi. La storia è nota, ed è quella dell’autore guatemalteco Augusto Monterroso, autore del microracconto cosiddetto più breve della storia Al suo risveglio, il dinosauro era ancora lì. (A.Monterroso). Ma non è questo il suo punto.

dinosauro

Persino Umberto Eco, oltre a Calvino, ci si è confrontato. La traduzione italiana sopra è per l’appunto sua, di Eco. Cuando despertò, el dinosaurio todavìa estaba allì. recita la storiella in lingua originale. E qui casca l’asino, anzi, il dinosauro. È proprio necessario fare dotte analisi di questo racconto ovvero stabilire se A) un tizio si sveglia improbabilmente accanto ad un dinosauro , B) un tizio sogna molto realisticamente un dinosauro o C) chi si sveglia è esso stesso un dinosauro? Romeo Lucchi ha ragione, proprio non lo è, non ci è assolutamente necessario per apprezzare e giocare con il racconto nel modo tanto caro a Calvino: come dice in un film il saggio Samurai tentando di spiegare l’arte della spada a un occidentale no mente, troppa mente.  Apriamo solo le porte all’immaginazione e godiamoci i microracconti. Che poi in ogni caso, ci facciamo influenzare tanto, inconsciamente, da un buon racconto che spesso ogni nostro sofisticato sforzo di interpretazione oggettiva di un testo naufraga comicamente proprio sul nascere…il nostro pregiudizio sarà sempre più forte. Volete una prova? Fate caso a come è tradotto in inglese su wikipedia (https://en.wikipedia.org/wiki/Augusto_Monterroso) il nostro racconto : When he awoke, the dinosaur was still there. Secondo voi, piazzando lì quel HE che idea della storia aveva in mente il traduttore? A), B) o C)?

LA POTENZA DELLA MICRONARRAZIONE

Al suo risveglio, il dinosauro era ancora lì. (A.Monterroso)

È potente la micronarrazione. Una sola frase apre la porta dell’immaginario.

Lasciamo da parte le incongruenze storico scientifiche e proviamo a immaginare la scena insieme.

Vediamo il cacciatore che diventa preda. Riesce a trovare rifugio in una caverna, passa una notte quasi insonne e finalmente dopo un breve riposo, al suo risveglio, vede il peggior incubo della sua breve vita fermo ad aspettarlo fuori dalla caverna. Ancora.Oppure potremmo dare un taglio più contemporaneo alla storia e immaginarci la mattina dopo una folle notte di eccessi (lascio alla fantasia del singolo stilare l’elenco delle sostanze psicotrope assunte nel corso della notte).

Risveglio.

Primo pensiero: mioddio sto ancora come i pazzi!

Secondo pensiero: quest’acido non mi lascia più!

Del racconto Il dinosauro Calvino diceva: “Io vorrei mettere insieme una collezione di racconti di una sola frase, di una sola riga. Ma finora non ho trovato nessuno che superi quello del guatemalteco Augusto Monterroso”.

Questa la raccontiamo insieme, al via il contest #ioraccontolungo. Ecco l’incipit

Al via il contest #ioraccontolungo. Eccoci qui con 3 personaggi nuovi nuovi in cerca di una storia. Ma non di un solo autore, bensì di molti, potenzialmente infiniti. A quattro mani con Laura Del Veneziano (che ringrazio tantissimo per la sua disponibilità, la finezza nella scrittura e soprattutto….l’amicizia!) e con l’aiuto di Toscanalibri.it ci siamo confrontati con quanto di più difficile uno scrittore possa e debba fare: dare vita a dei personaggi, plasmarli dalla creta delle parole e poi… soffiargli dentro una voce, anzi di più, farli dialogare tra di loro. È l’inizio di un romanzo, di un racconto, di un diario? Non lo sappiamo, non sappiamo chi esattamente sia Logan e che rapporto ci sia con Bombshell. E Spygirl, è quello che sembra? E che ruolo giocano il sogno raccontato da Logan e quello che invece si rifiuta di raccontare? Col vostro aiuto, se vorrete, tentiamo un esperimento: date a turno un giorno di vita a questi personaggi, portando la storia da voi, con voi, dove volete. Pubblicheremo, ormai lo sapete, fedelmente i vostri contributi. Speriamo siano molti, speriamo che siano perfino molto migliori del nostro incipit.  Come finirà?

senza volto

Ecco l’incipit.Qui invece se preferite lo si può scaricare

Mandate i Vs contributi, se volete a bellmaxi@tin.it e a redazione@toscanalibri.it

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GIORNO UNO

Sono LOGAN, ed ero un uomo. Ora mi sento più un bozzolo in evoluzione verso non so che cosa, vivo come dentro ad un proiettile sparato dalla canna di un fucile e ho paura del mondo. La mia unica amica è SPYGIRL ma amo BOMBSHELL. Pago SPYGIRL per essermi amica, pagavo BOMBHELL per dormire con me ma ora non più. BOMBSHELL ora è lontana, bloccata in un’altra città che una volta era anche la mia. Anche SPYGIRL è lontana, ma meno. Questa sarà la prima pagina del mio diario. Il mio diario lo scriverò su un rotolo di carta, di quelli da disegno, per due buone ragioni. Primo perché me il mio diario me lo sono sempre immaginato così, secondo perché avere paura del mondo significa grossomodo soffrire di tutte le fobie esistenti messe insieme oppure di nessuna e così mi illudo che questo grosso e rassicurante rotolo sia infinito tanto quanto il tempo che mi ci vorrà a capire. La terza delle due buone ragioni è che me lo ha chiesto proprio SPYGIRL nella nostra ultima seduta. E a lei non so dire di no come invece dico spesso a BOMBSHELL. Quando SPYGIRL mi chiede qualcosa avverto uno spasmo freddo qui, alla bocca dello stomaco. Ora SPYGIRL dice che questo rotolo può servire a specchiarmi di nuovo la mattina, ma riconoscendo l’immagine. In questi mesi di arresti domiciliari forzati ho solo nutrito lo stomaco, chiuso la mente e coltivato paure. Qualcuno ha lavorato per me, qualcuno ha pulito per me le strade di questa città che non conosco, lucidato la scrivania del mio ufficio, pagato le bollette, fatto la spesa. Non io. Ricordo una frazione insignificante del tempo trascorso a casa in questi mesi. Se monto le immagini mentalmente mi trovo davanti quasi solo una serie stroboscopica di albe e tramonti intervallate dal cigolio della porta del frigo che si apre e dal coperchio tazza del cesso che si chiude. Il resto si è perso, e non c’è più niente di continuo nella mia vita, ma un orizzonte latteo e poroso, e solo intermittenze e curve cieche sul mio cammino. Un uomo sceglie una casa come ogni nave prima o poi sceglie un porto. C’è un’anima da mettere all’ancora, un corpo da mettere al riparo. Io non mi ricordo nemmeno più esattamente perchè un anno fa ho scelto questa casa, e comunque ora non vi trovo pace. È come avere un vestito di due taglie più stretto. Non vale la pena neanche di farlo allargare. E SPYGIRL complice il lockdown nel frattempo mi ha anche cacciato dal nostro rifugio. Il suo bello studio accogliente che profumava di pelle. Un po’ quella delle sedie e del lettino, un po’ la sua.

senza volto 2

Così oggi ho protestato.

SPYGIRL a LOGAN: Vede, lei non mi ha detto niente di strano. Una delle cose che più spesso mi è capitato di sentirmi dire in anni di professione è stato che entrare-  fisicamente nella stanza dell’analisi al mio studio è come entrare in un mondo parallelo, diverso. Le confesso volentieri un piccolo tratto personale: In effetti io conservo lo stesso ricordo della stanza della mia analisi. Così quando dopo qualche tempo dalla fine del mio percorso sono tornata a trovare il mio analista, che nel frattempo aveva trasferito lo studio, mi sono sentita strana, fuori posto ed ho sentito che la mia analisi personale, ormai conclusa, era in effetti al tempo stesso custodita nello studio precedente e gelosamente conservata dentro di me.

Oggi dobbiamo accontentarci, capisce?  Ci aspetta un compito in più in questa assurda situazione di chiusura, un altro compito: dobbiamo trovare, pensare un secondo spazio che le permetta di continuare a lavorare con sè stesso, uno spazio diverso, non fisico, che in fin de conti, forse non può nemmeno preoccuparci troppo perché si tratta solo di uno spazio parallelo, temporaneo, il suo spazio interno.

SPYGIRL mi dà del Lei, si irrigidisce che provo a darle del tu. Dice che io posso scegliere come rivolgermi a lei ma che continuerà a darmi del “lei” fintanto che non sentirà una necessità diversa. Sembra quasi me ne faccia una colpa ed ho impressione che voglia dirmi tra le righe che dare del “tu” attenua le sue capacità è come mettere la sordina a una tromba.

Beh, e che c’è di male, a me piace Miles Davis.

GIORNO DUE

LOGAN a BOMBSHELL: Ti ho odiato perché hai riso dei miei peccati, ti ho amato perché mi hai aiutato a commetterne infiniti altri.  Poi, un giorno la corrente si è invertita, ed è diventato precisamente l’opposto. Sorprendentemente, ci andava bene a tutti e due così. Tutto è possibile in fondo, stasera al tramonto la luna piena si è ingoiata una striminzita falce di sole. Subito dopo, qualche mese fa, ci hanno tolto lo spazio come si tira via l’aria da un sacchetto. E in quel sacchetto non c’è più tempo, non c’è più aria né gravità.  E sono triste, impaurito, disperato perché io sono il messaggio e tu la bottiglia. O forse il contrario, in fondo non cambia. Non possiamo chiedere aiuto che insieme, ma non possiamo farlo insieme perché siamo dispersi su due isole diverse. Ho pensato spesso che la tua faccia fosse uno specchio. Ho pensato che la tua mano fosse un cavallo veloce. Ho pensato che le tue braccia fossero una giostra per il mio corpo. Sono preda delle mie paure adesso. Posso sentirti, qualunque cosa ciò voglia davvero dire.

Penso che la solitudine sia una specie perversa di cecità. Non vedi che parti di te stesso, ma non vedi te stesso. E i sensi si amplificano tanto da far male. L’udito soprattutto. Un po’ l’olfatto. Tutto quello che hai lasciato in questo appartamento non profuma più, marcisce. Fiori, maglioni, frutta. Solo il gusto è diminuito. Non mangio più, prevalentemente bevo. Non dormo più, prevalentemente bevo.

 Provo ad alzarmi, mi affaccio alla finestra. C’è una fila ordinata di persone che cammina sul bordo del fiume e file più piccole fuori ai negozi.

Il mondo è diventato un terrario.

La mia vicina di pianerottolo è una formica rossa e grassa, è vorace. Compra, stipa la casa, produce spazzatura che pressa e getta con passo lento. Ho pensato che la tua pelle fosse una vela. Se la carezzavi, si tendeva. La carezza è un pettine per l’anima. Dopo è bella liscia e lucente.  Belli anche i tuoi massaggi, ora li vorrei, ma mi mancano più le carezze. La carezza sta al massaggio come un vino bianco fermo sta a un rosso corposo. Non si può iniziare con un rosso.

Se apro il pc, va tutto male. Il mondo dentro il pc è un acquario.

Ieri ha chiamato il mio capo. Il mio capo è un grosso pesce rosso.  Non intelligente, ma in compenso con la bocca sempre aperta. Mi ha detto che il lavoro che avevo mandato era soddisfacente.

Mi manchi. Forse ti amo. L.

BOMBSHELL a LOGAN: Io non ho mai riso dei tuoi peccati e nemmeno ne ho commessi altri con te. Ogni uomo è un po’ acqua e un po’ sale: oltre un certo limite non si può aggiungere altro sale, perché l’acqua non lo riceverebbe e il sale non si scioglierebbe più. E così io non ho aggiunto nessun peccato alle tue maledizioni.  Anche io ho pensato che la tua mano fosse un cavallo veloce, poi che fosse un aereo con un grande amo attaccato capace di pescarmi via da questo brutto orizzonte. Io non mi sento dentro ad un acquario o ad un terrario. Almeno là dentro ci sarebbe vita. Io mi sento dentro ad una di quelle palle di vetro con la neve di plastica.  Ti amo pressappoco lo stesso. B.

GIORNO TRE

Oggi ho chiamato SPYGIRL. SPYGIRL è un pesce particolare, una carpa koi.  Non mi so spiegare perché la immagino così, non lo saprei proprio dire. La immagino nuotare placida nel suo studio, ora che non ci viene nessuno. Odio quando cambia quello sfondo del pc e lo fa ogni volta. E poi quando muove il braccio destro, il suo corpo si deforma. Se invece muove il sinistro, quello addirittura sparisce. Questa volta il suo braccio sinistro pavesato a festa e carico di vistosi bracciali spariva inspiegabilmente inabissandosi dritto dritto come un galeone spagnolo nell’acqua cristallina davanti ai Faraglioni di Capri.

Doveminchiaèlamiastanzadoveèlamiastanzadoveèlamiastanzailmiolettinolihaivendutimessiinsoffittacazzodimmiqualcosaperfavore. Vorrei dirle.

E invece dico buongiorno.

Poi le ho raccontato un sogno, senza fermarmi. Una storia in un singolo lungo sorso.

LOGAN a SPYGIRL. Il sogno è questo. Potremmo dire che all’inizio il sogno sono quasi solo io. Io nel sogno sono vecchio e le tre canne di bambù sono ancora al loro posto. Appoggiate alla porta della rimessa. Anni fa erano la spina dorsale di magnifiche orchidee. Adesso sono solo canne coperte di muffa. In giardino c’è come odore di rinchiuso; c’è un’erba alta e vuota, gialla, ispida e secca come i miei tappeti: ha messo in ombra e soffocato il prato. Quell’erba è dello stesso colore del sole, che martella sulle tempie come un vino di poco prezzo, e soffrigge nelle orecchie assieme al sangue che, nonostante tutto, tenta di scorrere. Inchiodato Ad una sedia vedo le ombre infrangersi come onde sulla battigia di pietra serena della soglia. Quelle del giardino sono sempre più grandi ed invadenti, segno evidente delle molte piante che ho lasciato incolte. Quelle della casa non le conto più, tanto sono onnipresenti, rabbiose, invadenti. Quando si è vecchi si accendono sempre meno luci in casa. Così, con le tende tirate, nei giorni peggiori l’alba si confonde con il tramonto. Leggo, ascolto musica, parlo di me con me stesso. Nel parco ci sono molti alberi secchi, malati. E poi ci sono tre alberi danzanti, all’apparenza perfettamente sani uno accanto all’altro, che la malattia nella sua conta ha saltato. Adesso ondeggiano pericolosamente, perché sotto l’azione del vento non possono più appoggiarsi alle fronde dei loro vicini. Le tre canne di bambù non sono più al loro posto.  Vi è un giovane che le taglia con una lama affilata, di quelle così acuminate che scintillano. Le netta con uno straccio, le taglia in pezzi più piccoli con la massima cura. Poi le pulisce dal di dentro e vi pratica dei fori. Soppesa il lavoro fatto, sembra scegliere il pezzo migliore. Vi pratica un invito per le labbra e si mette a suonare. Mi guarda un po’ sorpreso come se dovessi conoscere tanto quel viso che quella nenia. Poi mi sorride senza pretese come se osservasse un bambino e mi accarezza il volto con una mano profumata. Gli chiedo di tagliarmi la gola di netto proprio mentre tramonta il sole e sale l’aria fresca della notte. Lo fa in silenzio, sento la sua mano sinistra sui miei occhi le sue labbra sulla mia fronte, il freddo pizzico della lama che mi sbarra il respiro.

SPYGIRL a LOGAN: Quando ha detto di aver fatto questo sogno? Che ne penserebbe se le dicessi che ho impressione che sia piuttosto un pensiero a metà tra sogno e veglia?

LOGAN a SPYGIRL: Si, è vero non l’ho sognato, non è un sogno. Ma vorrei che lo fosse

SPYGIRL a LOGAN: È comprensibile, saprebbe dirmi perché?

LOGAN a SPYGIRL: No, Non posso dirglielo. Perché in realtà c’è un altro sogno. Riguarda BOMBSHELL

SPYGIRL a LOGAN: Il sogno che non vuole dirmi riguarda BOMBSHELL?

LOGAN a SPYGIRL: Si. Quello che non voglio raccontarle, quello vero.

SPYGIRL a LOGAN: Ogni racconto che lei mi porta è comunque parte di lei e quindi è importante lavorarci, ecco perché non importa se non vuole raccontarmi il sogno su BOMBSHELL. Le farò comunque una domanda sul suo racconto.

LOGAN a SPYGIRL: Cosa…

SPYGIRL a LOGAN: Chi è quel giovane che le taglia la gola?

 

Il domino fa 10

Il libro suggerito. Nicola Nucci propone “Come cerbiatti sulle strisce pedonali”

Decimo appuntamento con il Domino Letterario che vi permette di assistere, stando a casa, a presentazioni a catena di libri. Nicola Nucci, chiamato in causa l’ultima volta da Silvia Roncucci, propone la lettura del romanzo “Come cerbiatti sulle strisce pedonali” (Edizioni Effigi) di Mattia Nocchi. Clicca qui per il video

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Nicola Nucci,  ha lavorato come sceneggiatore in ambito teatrale e attualmente si sta dedicando ad alcuni progetti in campo cinematografico, settore nel quale si è già distinto arrivando in finale al concorso bandito nell’ambito di Uno Sguardo Raro – Festival Internazionale di Cinema sulle Malattie Rare (2018).Ha ottenuto alcuni significativi riconoscimenti: la segnalazione al Premio InediTO (2013) al Salone Internazionale del Libro di Torino, due volte in finale al Premio Mario Luzi (2014 e 2015), il premio della giuria al concorso La Città di Murex (2013), il secondo posto al concorso Under 29 di Modena (2013).
Nel 2018 il suo primo romanzo, Trovami un modo semplice per uscirne.
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https://www.youtube.com/watch?v=qNWlELiIicw&feature=emb_logo

Il libro – Federico Fiumani è un giovane giornalista televisivo che lavora a Milano nei primi anni duemila e vive le (a)normali condizioni di una generazione fragile, ambiziosa e precaria. Giano è un contadino della mezzadria toscana, chiamato alla leva durante la seconda guerra mondiale. Federico sogna di fare lo scrittore di racconti per bambini. Giano di sposare Tina, una maestra anarchica di origine piemontese. Due vite normali, distanti nel tempo, che saranno sconvolte entrambe da un evento imprevedibile. Due storie che si alternano e procedono in parallelo, finché una si legherà indissolubilmente con l’altra, interrogandola. Un romanzo che intreccia molti fili e molte voci, ambientato tra l’Italia e gli Stati Uniti. Una piccola saga familiare dove i segreti si annidano coperti dalla polvere e dal silenzio. La ricerca della verità, come unica arma di difesa nei confronti del male che muove il mondo.

 

La partita

In letteratura quanti confronti tra personaggi sono basati su rituali non scritti ma reiterati all’infinito, quanti dialoghi, quanti incontri sono assimilabili a una partita?

Non sembrano sfuggire a questa logica i personaggi di questa storia, per cui ringraziamo Romeo Lucchi, già su queste pagine per #ioraccontobreve nr 8 e nr 7e per una insolita rilettura di Volare.

La partita

Ogni sera mi raccontava la stessa storia.

Rientravo a casa dopo una dura giornata di lavoro, cenavamo e poi lui mi raccontava la stessa storia. Tutti i giorni. Prima però dovevamo giocare la nostra partita.

«Lo sai Jack…» diceva restando in attesa. Mi chiamava Jack perché amava dare un tocco di internazionalità ai nostri nomi.

«Cosa Frank?» gli chiedevo. Era come giocare una partita a tennis: scambi di palla veloci, e tanta fatica.

«Molti anni fa quando ero giovane» continuava lui «ho fatto un viaggio. E sai dove sono andato Jack?»

poker

«E dove sei andato Frank?» non potevo non chiederglielo, se non lo avessi fatto lui avrebbe continuato all’infinito. Una sera avevo provato a non giocare, lui era diventato sempre più insistente e poi siamo arrivati alle mani. Era una furia. Non avevo scampo: dovevo giocare la mia partita. Non spettava a me decidere se farlo o no.

«Sono andato a Barcellona, in treno. Ero partito da Genova a mezzanotte. I miei amici mi avevano accompagnato in stazione, e c’era anche lei. Sei mai stato a Barcellona Jack?»

«No Frank. Mai.»

«È una bella città. Ci devi andare. Lo farai Jack?»

«Lo farò Frank.»

«Promettilo.»

«Te lo prometto.»

A quel punto, dopo avermi estorto la promessa, la nostra partita era giunta al termine e io ascoltavo la sua storia. Nel nostro gioco non c’erano né vinti né vincitori, si giocava e basta.

«Avevo appena conosciuto Lory» diceva «e fino all’ultimo ero indeciso se partire o no. Mi piaceva molto quella ragazza, ma non volevo rinunciare al mio viaggio in solitaria. Era la mia prima volta. Ormai avevo detto a tutti che sarei andato a Barcellona da solo e non potevo più tirarmi indietro, avrei perso la faccia. C’era anche Lory in stazione con gli altri. Ci salutammo come si fa tra amici, non volevo far vedere agli altri che ero pazzo di lei. Arrivai a Barcellona la mattina dopo. Non ricordo quanti treni cambiai, ma ricordo che l’ultimo era veramente scomodo, spartano, con i sedili di legno. Non riuscii a chiudere occhio e ascoltai musica tutta la notte col mio walkman. Avevo una tipa seduta di fronte molto più vecchia di me, truccatissima, sembrava una battona. A un certo punto tirò fuori la lingua e si leccò le labbra guardandomi dritto negli occhi, io li chiusi e feci finta di dormire. Girai per due giorni in città come uno zombie. Mi spostavo tutto il giorno in taxi e in metropolitana senza una meta. Non avevo pace e decisi di tornare. Mi fermai a dormire una notte a Nimes e rientrai a casa. Per prima cosa chiamai Lory. Mi prendeva in giro, diceva che invece di star via una settimana dopo due giorni ero tornato solo per lei, perché anch’io l’amavo. Due anni dopo ci siamo sposati. Siamo stati felici, ma poi lei se ne è andata».

nimes

Quello era il momento più doloroso. Frank cominciava a piangere e a nulla valevano i miei tentativi per consolarlo. Era straziante. A volte piangeva tutta la sera e spesso mi era capitato di sentirlo disperarsi anche la notte, quando ormai c’eravamo coricati da tempo.

Ci sono voluti mesi e tanta dedizione, ma un paio di settimane fa ho trovato Loredana, la Lory di Frank. All’inizio non voleva incontrarmi, ho insistito parecchio e sono riuscito a invitarla a pranzo. Siamo andati in un posto molto carino, cucina casalinga. Abbiamo parlato per tutto il tempo, ci siamo dilungati fino a tarda sera.

Tra meno di un’ora Lory sarà qui, con Frank… chissà, magari per sempre.

 

Parte il laboratorio di scrittura (e lettura) ‘Le vie Brevi’

 

LABORATORIO “LE VIE BREVI” –  FESTIVAL DELLO SCRITTORE. UNA ‘VERA’ OCCASIONE.

LE VIE BREVI 1

 

Nell’ambito del Festival dello Scrittore 2020 che è giunto alla sua terza edizione, l’organizzazione ha deciso di dare agli scrittori la stessa possibilità di conquistarsi nuovi lettori utilizzando per esprimersi ‘le vie brevi’. Tuttavia scrivere breve non è affatto facile! Per questo (li ringrazio della fiducia!) si sono affidati a me.Il modello è molto innovativo e adatto a questi tempi (non è affatto il ‘classico’ sito online, come non lo era, se ricordate, Italia Book Festival)

Il mondo di ogni scrittore si sa, è un peculiare e irripetibile misto di ordine e magia, e la brevità nella scrittura è sempre una strategia vincente per raccontarlo. Mai come di questi tempi le forme espressive brevi (racconti, articoli, commenti e recensioni) sono state per tanti lettori la piccola porta di ingresso alle opere di scrittori cui ora non rinuncerebbero per niente al mondo. Il laboratorio di scrittura breve è quindi adesso una realtà e scrivendo un racconto in questa forma espressiva, sulla distanza delle 100 parole (parola più, parola meno, non siamo fiscali!) potrete farne parte a pieno titolo.

Animerò l’iniziativa fornendo un feedback personale tecnico e di merito a tutti i partecipanti che servirà a condividere idee, affinare le tecniche e i mezzi espressivi e perché no a far da base per futuri contatti e collaborazioni. I migliori racconti saranno poi premiati durante il Festival.

Le via brevi 2