#ioraccontobreve numero speciale 9

Ebbenesì, ebbenesì a volte ritornano.

#ioraccontobreve fa (eccezionalmente) nove. Per molti singolari motivi che meritano tutti di essere raccontati. I motivi sono un problema informatico, un altro problema informatico più grave e un dinosauro.

Insomma dai, microraccontiamolo:

Ricevette un bel racconto e lo selezionò per la settimana a venire. Lo mise nella cartella dei pubblicabili, già bello che pronto. Ma venne un virus informatico che scombinò le cartelle e un po’ anche il suo stato mentale, e il racconto finì tra le sue fatture. Il racconto non ci stava male, tra tutti quei numeri, ma era perplesso. Alla fiera informatica dell’est, per due soldi, comprò un nuovo pc. Ma venne la notte e arrivò un bastimento di mail arretrate, cariche di nuovi pezzi e racconti. Due, un racconto e un articolo, erano era assai belli e finirono nella cartella dei pubblicabili. L’articolo parlava di un dinosauro. Ma venne la fetida tempesta che il computer di nuovo stonò. Il raccontino questa volta finì tra i file temporanei e lì si stava proprio male, sospesi come in un limbo di insicurezza sul proprio destino. Ma venne l’angelo del pc che i due files spersi finalmente trovò. Quando ritornarono nella loro cartella, l’articolo sul dinosauro era ancora lì….

Il racconto finito tra le mie fatture è quello di Simona Trevisi, anima di Toscanalibri.it e di tutte le sue attività online. Se siete stati pubblicati lì, lei vi ha letto di sicuro e altrettanto di sicuro lo dovete a lei. Mi scuso con lei quindi, doppiamente.  Giornalista, nata a Bergamo, è laureata in Scienze della Comunicazione. Dal 2005 collabora con la società Primamedia per conto della quale gestisce le attività e gli eventi curati da Toscanalibri.it. Qualcosina in più sulla sua biografia poi, mi sa che la potete immaginare leggendo il suo racconto…

MORFEO IN SMARTWORKING

morfeo

Finalmente era scivolato tra le braccia di Morfeo. Ci erano volute due ore di canti sussurrati, pacche sul sedere a ritmo di rumba, carezze amorevoli e storie raccontate a mezza voce. Riuscì a staccarsi dalla morsa del figlio dormiente e si mise in posizione supina. Con una mossa degna di un ninja tese le gambe fuori dal letto, poggiò i piedi a terra e lentamente si tirò su trattenendo il respiro, attenta a non compiere passi falsi. Con la testa era già in postazione davanti al computer, ma il suo ginocchio ebbe l’ardire di scricchiolare. Il rumore ruppe il silenzio in cui era immersa la stanza. Atterrita si girò verso il bambino che, subito desto, sbarrò gli occhi e cominciò a mugolare tendendo le braccia. L’impossibilità di praticare lo smartworking in solitaria era sempre più lampante.

Romeo Lucchi invece, non nuovo a questi lidi, è l’autore del racconto (quello svaporatomi davanti agli occhi durante un temporale qualche sera fa) e del pezzo che segue. Il racconto è di effetto, e non c’è affatto bisogno di commentarlo, se non forse di aggiungere una osservazione che mi viene spontanea, visto che lui è attore e si occupa di teatro e io in questo momento sto recensendo un libro su Sordi. Non so se lui sarà d’accordo, ma troverà certo il modo di dirmelo. C’è infatti una cosa che unisce un attore in gamba e uno scrittore altrettanto valente, ovvero il saper maneggiare i registri comici e tragici con la stessa efficacia. Leggete su questo sito i suoi La tazza del vate o Volare e poi questa storia e mi direte…

DUE DOMANDE

Catturfiore su tomba

Perché si muore? chiese il bambino al vecchio. Il vecchio spostò lo sguardo sulla tomba della moglie. Il bambino attese con gli occhi spalancati come se la risposta dovesse passare da lì. Il vecchio si piegò sulla tomba, prese il vasetto con i fiori appassiti e li gettò nel bidone vicino, andò alla fontana e mise l’acqua nel vaso dove sistemò un mazzetto di aster viola. Ripose il vaso sulla tomba e accarezzò la testa del piccolo. Perché si nasce se poi si deve morire? chiese il bambino. Il vecchio lo prese per mano e insieme si allontanarono senza risposte.

  E veniamo all’articolo, sempre dello medesimo Lucchi. La storia è nota, ed è quella dell’autore guatemalteco Augusto Monterroso, autore del microracconto cosiddetto più breve della storia Al suo risveglio, il dinosauro era ancora lì. (A.Monterroso). Ma non è questo il suo punto.

dinosauro

Persino Umberto Eco, oltre a Calvino, ci si è confrontato. La traduzione italiana sopra è per l’appunto sua, di Eco. Cuando despertò, el dinosaurio todavìa estaba allì. recita la storiella in lingua originale. E qui casca l’asino, anzi, il dinosauro. È proprio necessario fare dotte analisi di questo racconto ovvero stabilire se A) un tizio si sveglia improbabilmente accanto ad un dinosauro , B) un tizio sogna molto realisticamente un dinosauro o C) chi si sveglia è esso stesso un dinosauro? Romeo Lucchi ha ragione, proprio non lo è, non ci è assolutamente necessario per apprezzare e giocare con il racconto nel modo tanto caro a Calvino: come dice in un film il saggio Samurai tentando di spiegare l’arte della spada a un occidentale no mente, troppa mente.  Apriamo solo le porte all’immaginazione e godiamoci i microracconti. Che poi in ogni caso, ci facciamo influenzare tanto, inconsciamente, da un buon racconto che spesso ogni nostro sofisticato sforzo di interpretazione oggettiva di un testo naufraga comicamente proprio sul nascere…il nostro pregiudizio sarà sempre più forte. Volete una prova? Fate caso a come è tradotto in inglese su wikipedia (https://en.wikipedia.org/wiki/Augusto_Monterroso) il nostro racconto : When he awoke, the dinosaur was still there. Secondo voi, piazzando lì quel HE che idea della storia aveva in mente il traduttore? A), B) o C)?

LA POTENZA DELLA MICRONARRAZIONE

Al suo risveglio, il dinosauro era ancora lì. (A.Monterroso)

È potente la micronarrazione. Una sola frase apre la porta dell’immaginario.

Lasciamo da parte le incongruenze storico scientifiche e proviamo a immaginare la scena insieme.

Vediamo il cacciatore che diventa preda. Riesce a trovare rifugio in una caverna, passa una notte quasi insonne e finalmente dopo un breve riposo, al suo risveglio, vede il peggior incubo della sua breve vita fermo ad aspettarlo fuori dalla caverna. Ancora.Oppure potremmo dare un taglio più contemporaneo alla storia e immaginarci la mattina dopo una folle notte di eccessi (lascio alla fantasia del singolo stilare l’elenco delle sostanze psicotrope assunte nel corso della notte).

Risveglio.

Primo pensiero: mioddio sto ancora come i pazzi!

Secondo pensiero: quest’acido non mi lascia più!

Del racconto Il dinosauro Calvino diceva: “Io vorrei mettere insieme una collezione di racconti di una sola frase, di una sola riga. Ma finora non ho trovato nessuno che superi quello del guatemalteco Augusto Monterroso”.

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#ioraccontobreve8. Ultima puntata (per ora)

Come si scrive un commiato in 100 parole?

Meglio usarne una sola, ma bella grossa: GRAZIE!!!

Ciao

Questa per ora è l’ultima puntata di #ioraccontobreve, la nostra fortunatissima iniziativa che ci ha permesso di fare la piacevole conoscenza di un sacco di persone e autori.

Però, prima di chiudere in bellezza, fatemi ringraziare Francesco Ricci, Riccardo Boccardi e Stefano Scanu per la loro diponibilità e cortesia (oltre al talento, ma questo lo sanno benissimo senza che glielo diciamo noi). Per parte mia, debbo ringraziare Simona Trevisi e Luigi Oliveto di Toscanalibri per averci creduto e per aver reso possibile la cosa.

Però però, prima di chiudere in bellezza fateci dire che siamo degli incoerenti di prima categoria: sì perché dopo aver sostenuto che raccontare breve fosse tutto, adesso dalla settimana prossima facciamo una inversione a U di proporzioni marziane e diciamo #ioraccontolungo o anche #questalaraccontiamoinsieme. O anche #lastaffettaletteraria.  (no, non stiamo seriamente bandendo un concorso per scegliere il nome di un concorso).

E sarà sfidante, molto sfidante perché abbiamo scritto a quattro mani con Laura del Veneziano un incipit (più di un incipit in verità) di una storia che vi chiediamo, con non più di una cartella A4 (alla volta se volete…) di portare nella direzione che vorrete voi! Cambiatele i connotati, assecondatela, stravolgetela, complicatela! Un romanzo aperto? Una specie. Un’opera aperta? Forse. Del resto lo sapete, no? È raccontare lungo che è la cosa di gran lunga più difficile. Noi lo abbiamo sempre detto.

Mandate tutto (appena vedrete pubblicato l’incipit) al solito indirizzo mail, ovvero bellmaxi@tin.it

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I tre racconti di questa settimana non sono particolarmente legati tra loro, lo ammettiamo. Ma uno ci ha colpito dati anche i fatti di cronaca di questi giorni. Vedere i giovani in piazza, organizzati per una vera manifestazione, credo la più autentica degli ultimi anni, ha attirato l’attenzione e il sostegno di molti.  Era da tempo, comunque la si voglia pensare al riguardo, che gente di 14-15-16 anni non veniva colpita a tal punto da un fatto di cronaca da prendere e manifestare. Alludiamo ai fatti di Minneapolis. Alludiamo a Kevin Tushe, studente liceale, che già ha partecipato due volte con successo a questa rassegna. Si vede la passione in quello che scrive.

floyd

SOGGIOGAMENTO

Il suo sguardo livido incrocia il mio, il suo respiro si fa sempre più affannato, man mano che il suo petto affonda sotto la pressione esercitata dall’agente, la stessa che mi opprime mentre rimango impassibile innanzi a tale orrore. Al collo quel giogo che lo umilia da secoli, le catene che cingono invisibili le sue membra, come un fardello che la vita gli ha arbitrariamente imposto. Perché America? Perché hai fatto credere che non valgono nulla? Perché li hai trattati come se il sangue sparso, raffigurato in rosso vivo sul nostro stendardo, non sia anche il loro? L’aquila non dispiega più le sue ali all’orizzonte, ma scruta dall’alto del suo nido l’eterna lotta per l’uguaglianza 

Quante volte avremmo voluto che i protagonisti tormentati di un libro, rivoltandolo aperto a testa in giù e scuotendolo ben bene, scivolassero nel mondo reale per godersi un po’ di tranquillità, un meritato riposo? Ma non è mica così semplice passare da una dimensione all’altra…anche per una ‘fuitina’ letteraria.

FUGA D’AMORE

Aspettarono di essere vicini l’una all’altro. Volevano cambiare il loro destino, fuggire e chiudere per sempre con le famiglie che si opponevano al loro amore. Si presero per mano e si aggrapparono a un punto di domanda, saltarono da un trattino all’altro, scivolarono su una virgola, aprirono una parentesi, si diedero un bacio, chiusero la parentesi. Proseguirono la loro fuga riga dopo riga verso la fine della pagina. Quando fecero l’ultimo salto non si voltarono. Fuori dalle pagine del libro però i loro corpi non avevano forma, non potevano esistere, cominciarono a svanire perché il loro era un amore impossibile.

  usciti da un libro

E poi a volte si perdono le parole, e non solo per amore…perché sopra non abbiamo riportato,l’autore? Perché è lo stesso del prossimo racconto, ovvero l’autore e attore Romeo Lucchi (che ringraziamo per il suo generoso apporto che vedrete anche nei prossimi giorni…’la tazza del Vate’ comunque ce la ricorderemo per un bel pezzo! https://massimilianobellavista.wordpress.com/2020/06/12/volare/ )

L’UOMO CHE NON SI CAPIVA

non ti capisco

Quando parlava era un disastro. Ometteva sempre il soggetto della frase, dimenticava pezzi della storia – più o meno lunghi – coniugava male i verbi e, cosa ancora più insopportabile, era un continuo ripetere e intercalare di mhmm…, eh…, cioè… In giugno prese parte a una rapina. Fu l’unico della banda a farsi pinzare. In commissariato gli chiesero di vuotare il sacco. Lui cominciò a parlare, ma non si capiva niente di quello che diceva. Credettero che volesse fare lo spiritoso e lo pestarono. Lo torchiarono per ore. Lui era sempre più criptico. Un duro, pensarono i poliziotti. E giù altre botte

#ioraccontobreve: settima settimana!

Ed ecco anche il settimo sigillo su questa bella manifestazione online.

     SETTE

Diciamo subito che uno di questi racconti nasconde un fatto molto curioso, ma assolutamente reale. Un mistero che sveleremo più avanti.

Per ora, lasciando intatta la suspense, visto che si parla anche di settimo sigillo, diciamo che il filo conduttore dei premiati di questa settimana, è stato il tempo e l’inesorabilità delle cose. Viene il dubbio che vi siate parlati, prima di spedirci i racconti, perché, come vi sarete accorti leggendo i testi delle precedenti 6 settimane, non è stato poi difficile trovarvi temi e situazioni assai vicine. I pensieri a volte sono davvero contagiosi, riecheggiano di testa in testa per giungere fino a noi.

Il tempo nelle sue manifestazioni, si sa, va preso al volo. Dare tempo al tempo, quando di può, ci porta a sedimentare le idee e a volte a cambiarle.  Ma attenti allora, in quel fatidico momento, ad afferrare l’occasione e fare la mossa giusta, potrebbe non esserci ‘tempo’ per rimediare! Ce lo spiega, con humour stile oltremanica, Romeo Lucchi, genovese, uomo di teatro, affabulatore che da trent’anni si dedica ad attività legate al palcoscenico e al movimento espressivo. Suoi racconti sono stati premiati e antologizzati (La farinata, Se tornassi indietro), alcuni li trovate in rete e sulle principali piattaforme di podcasting.

LA TAZZA DEL VATE

TAZZINA CAPODIMONTE

Era la prima volta che partecipava a un’asta. Aveva con sé contanti e libretto degli assegni. Il battitore presentò l’articolo: tazza da tè appartenuta al sommo poeta. Unico pezzo rimasto di un prezioso servizio in porcellana di Capodimonte. Base d’asta: cento euro. Accarezzò l’idea di acquistarla. Col Gabriele erano conterranei anche se lui era milanese d’adozione. Magari l’aveva portata alle labbra la Duse, pensò. A cinquecento euro ebbe un’epifania: come faceva a essere certo che fosse veramente del Gabriele? Decise di lasciar perdere. Fanculo la tazza– disse tra sé con un gestaccio che gli assicurò il pezzo per seicento euro. 

Poi c’è il tempo fra i tempi: il tempo della vita e quello della morte. Il tempo possiede una soluzione di continuità? Riflessioni macabre? Forse, ma in questi mesi c’è stato tempo per riflettere su tutto, come non si faceva da lungo tempo.  Qui è Daniele Possanzini Daniele Possanzini pisano, manager ed esperto forense di informatica e di sicurezza informatica, a prendersi la patata bollente e tentare di spiegarcelo. Il suo romanzo d’esordio,  Pervinca – enigma della molestia per una donna geniale, è stato pubblicato nel 2019.

SENZA SOLUZIONE DI INCOMPRENSIBILITA’.

Non c’è mai tempo di chiedere informazioni a chi muore, di chiederle proprio in quell’istante misterioso in cui sta vivendo la sua morte. Prima e dopo non è come nell’istante in cui esattamente accade.

VITA MORTE

È come quando ci si addormenta. Prima si è svegli e poi si è addormentati. Ma nel passaggio?Chi si è mai fermato a gustare quel momento sottile, guardando di qua e di là?Dove sono il tempo e lo spazio quando si perde coscienza?

Non è anche quello un immenso silenzio improvviso che avvolge? Non è un mistero anche quello?

E poi c’è l’amore, che talvolta supera il tempo, ma qualche volta invece non gli resiste e poi c’è l’immortalità…perché qualcosa ci lasciamo sempre dietro, le nostre opere restano. Ma non è detto che questo, come si potrebbe pensare, abbia sempre una connotazione positiva e rosea: anche le maledizioni per le promesse tradite del tempo e dell’amore, a volte restano eterne. Francesca Condò, nell’inviarci questo racconto, il suo terzo per #ioraccontobreve, ci dice che si sta abituando a prendere il caffè da voi. Me lo immagino coi tavoli di legno consumati, il Caffè letterario 19, una bella luce come è in questa stagione, e qualche tavolo fuori in mezzo a vasi di fiori un po’ in disordine. Bella immagine. Grazie, queste 41 parole ce le teniamo con piacere per noi!!!! Può tornare quando vuole, come tutti Voi!

LA TOVAGLIA NUZIALE

Aveva consumato tutte le sue ore di luce su quel ricamo. Aveva scelto i disegni uno a uno: fiori, foglie, anche l’arca dell’alleanza perché come nella Bibbia il loro sarebbe stato un patto eterno. Forte come la morte. E invece l’amore non era durato.

LA CASSAPANCA

E della forza era rimasta solo la morte. E l’odio. Lo aveva proseguito, il ricamo. Lo aveva proseguito e punto dopo punto aveva intessuto lacrime e sangue e la promessa d’amore era diventata maledizione; l’albero della vita era ora mandragora che la lacerava, un infinito lamento. Prima solo nella mente. Dopo si era fatta verbo nella sua bocca. Aveva evocato tutte le forze celesti perché la aiutassero a dannarlo. A dimenticare il traditore. Mundane e traitori! Ma la maledizione si era fatta parola scritta e il dolore, intessuto, era diventato anche lui eterno.

#ioraccontobreve: i vincitori della sesta settimana

Mai e poi mai pensavamo di andare così avanti con #ioraccontobreve. Questa passione sincera e disinteressata per raccontare di tutto, da ambiti personali a fatti del passato, da oggetti ad emozioni, merita molta attenzione, merita l’ascolto che in effetti sta avendo.

Oggi partiamo da quelle piccole e grandi scelte che ogni tanto nella vita, si impongono. Anche se stavolta è doloroso, per il protagonista di questo racconto, scegliere tra Lei e…lei.

Di Letizia Lusini di Monteroni d’Arbia, si nota subito una certa dimestichezza con la scrittura e un taglio sottilmente ironico. Ha gestito per molti anni un banco nei mercati antiquari, scrive da oltre dieci anni con alcune pubblicazioni al suo attivo.

LA SCELTA

Scelta

Erano stati insieme per diciotto anni. Lui l’aveva curata, coccolata, amata. Era orgoglioso di lei anche dopo tanto tempo, la portava con fierezza ad ogni evento; e lei cresceva forte, decisa, senza difetti. Poi, un giorno, arrivò Lei. Guardò lei subito con disprezzo, e dette a Lui un aut-aut. Fu costretto a scegliere.  Lui la guardava ora: lei era ai suoi piedi, distrutta. Gli venne da piangere, poi “Caro, hai finito?” Lei lo chiamò dal soggiorno. “Sì, arrivo subito” rispose. Gli salirono agli occhi due lacrime, prima che uscisse dal bagno, e scivolarono giù, finendo sulla sua barba tagliata.

Di tutt’altro ambito e certo di tutt’altra scelta si parla in questa storia, in cui torna sui nostri schermi Francesca Condò, architetto specialista in restauro dei monumenti in servizio presso la Direzione generale Musei del MIBACT, bissando il successo della terza settimana con un racconto elegante (interessante la sequenza del titolo che se si vuole è in sé un’altra narrazione sintetica) e di gran ritmo.

ACQUA, ARIA, FUOCO, TERRA.

La gamba legata si faceva spazio nell’acqua trascinandolo verso il fondo. Sergius pensò che aveva fatto qualcosa di non rimediabile. Lo pensò con la testa e col corpo che cominciava a cercare aria prima ancora di averne bisogno. Lo aveva fatto, doveva accettarlo. Lo aveva fatto. Non ci sarebbe stato più quel dolore ottuso ma neanche l’odore dei fiori e il senso di attesa della primavera. Quando sentì il flusso addensarsi attorno al corpo pensò che l’acqua stesse spietatamente prendendo il posto dell’aria. L’acqua invece lo respinse. La gamba smise di pesare e il corpo di dibattersi e cercare aria. Salì in superficie, al canneto. Sentiva la testa vuota riempirsi di braccia o serpi o animali sinuosi. Nel suo corpo affiorò un ricordo che non trovò una collocazione nel tempo o in uno spazio fisico. Era un ricordo solido, sessuale, pieno di energia e di forza che rasentava la violenza fisica. Le braccia afferrarono l’acqua e trovarono i fusti fitti delle canne.

4 elementi

E di bis in bis ecco un altro ‘narratore seriale’ del nostro contest, Kevin Tushe, vincitore della quarta settimana, senese e Liceale che a soli16 anni, che ama rievocare con ottima tecnica momenti di un passato certamente non vissuto ma di cui non gli sfugge l’intensità. Stavolta sono l’amore e la nostalgia a fare da padroni, ma anche un fatto storico accaduto quell’anno: per la prima volta nella storia a Città del capo un droghiere di mezza età, Louis Washkansky subisce un trapianto di cuore ad opera di Christiaan Barnard, carismatico e trasgressivo chirurgo 45enne.

Città del Capo,

Dicembre 1967, la calda brezza oceanica scompigliava i tuoi capelli corvini, il sole faceva rilucere la tua pelle color dell’ebano sotto quel tiepido crepuscolo d’estate australe. La Baia del Capo era il nostro anfiteatro, noi protagonisti di un’opera che pareva infinita, il mondo spettatore inconsapevole di una vicenda dai toni fiabeschi, predestinata a vita effimera.

Barnard

In quel mio breve soggiorno in Sudafrica l’apartheid ci aveva resi trasgressivi, seppur giovani e innocenti le nostre anime si intrecciavano, le nostre pelli si mescolavano alla stregua della costa con le onde dorate, in cui il tuo sguardo ambrato si confondeva. La sera della mia partenza la televisione racconta del primo trapianto di cuore, io che a te soltanto, a Città del Capo, ho aperto il mio cuore, perché tu del mio cuore eri diventata il capo, la mia anima, ora sbiadita nei flutti sanguigni dell’Atlantico.

#ioraccontobreve: i vincitori della quinta settimana

Dunque, procediamo con ordine:

Partiamo da Milano, una Milano alla Gaber, più che una Milano da bere, come si legge nell’abilissimo quadro che ci propone Stefano Scanu, che non finiremo mai di ringraziare per il suo sostegno a questa iniziativa, che ha riscosso anche più gradimento di quanto ci aspettassimo. In fin dei conti chi ha partecipato non ha vinto niente, al limite speriamo un buon articolo, un po’ di visibilità e di sicuro la nostra stima, ma noi di sicuro abbiamo vinto il sincero piacere di leggerVi!

VIA CAPPUCCINI N. 3 di Stefano Scanu

gaber

Volevo farti una sorpresa. Avrei dovuto mettere le Clark per non fare rumore proprio come diceva Gaber in una vecchia canzone, invece rimbombano solo i miei passi in questo quadrilatero fitto di silenzio.

Quando mi hai detto: “alle sei davanti a Villa Invernizzi, quello dei formaggini”, ho annuito fingendo di conoscerlo per non deluderti.

Poi il silenzio è cresciuto con la sera e mi spiace non ci fossi, perché avrei voluto ringraziarti.

Ormai sono qui da ore, a spiare solo e sedotto dei fenicotteri rosa dietro il cancello del palazzo.

Non ricordo neanche più che ci sono venuto a fare.

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Viviamo tempi di difficile interpretazione. E di frasi fritte, fritte, fritte come direbbe Benigni. Soprattutto sui media.

Siamo come in guerra; siamo come nel ’29; siamo come nel dopoguerra …uffa!!!

Erik Scortecci, studente liceale del secondo anno, ci dice che ha deciso di scrivere questo racconto rifacendosi per l’appunto alla frase che oggi sentiamo spesso: “siamo come in guerra”.

Allora –dice- ho pensato di intrecciare il desiderio del ritorno alla normalità e alla quotidianità con la storia di un uomo, sconosciuto, ma di cui è intuibile lo stato d’animo. Ho cercato di raccontare una situazione tipica vissuta dai soldati che tornarono dal fronte, e che oggi in qualche modo stiamo vivendo di nuovo, aspettando di ritornare alla normalità.

la guerra è finita

RITORNO ALLA NORMALITÀ

Il cielo era di un grigio piombo e i tuoni annunciavano un temporale. Le sue lacrime si confondevano alla pioggerellina che iniziava a scendere. Stremato per il lungo viaggio, si ristorò nei pressi di un boschetto. Rimase lì, a contemplare dopo tanto tempo quei colli della sua Toscana. Era autunno, i campi arati sembravano mostrare le loro cicatrici. Intanto ripensava alla loro fioritura: agli steli di grano, che ad ogni soffio di vento, iniziavano a danzare. Ricordavano le increspature di un mare agitato. Presto, al di là di quel mare, Piero avrebbe incontrato la salvezza, e la sua angosciosa attesa sarebbe finita.

E quindi via con Stefano Vallini, nato a Siena 40 anni esatti dopo Dizzy Gillespie. Lasciamo a voi stabilire quando… Ha pubblicato per Betti Editore Quante storie per un menu! – Racconti di cucina toscana e Il vento frusciava – Un suo racconto “Asfalto” ha trovato posto sul portale di Toscanalibri.it.

E siccome Dizzy Gillespie nella sua Stardust diceva Besides the garden wall, when stars are bright/You are in my arms il suo racconto non poteva che parlare di stelle …e di cose ahimè ben più terrene,

…A RIVEDER LE STELLE

stardust

Roman l’avevo visto davanti al supermarket, raramente davanti alla chiesa. Tendeva la mano e basta. Io vi appoggiavo solo sguardi colpevoli e facili da dimenticare. Non credo che abbia mai lavorato, ma è sempre vivo. Non posso dire lo stesso dei miei ex-colleghi. Lo saluto quando si affaccia dalla sua baracca dall’altro lato della strada.

Le auto ci dividono con i loro fumi di polveri sottili e ossido di azoto, che a respirarle fanno lo stesso effetto della vita. Il ponte che abbiamo sopra la testa ci protegge dalla pioggia. La notte, per vedere le stelle è sufficiente spostarsi nella scarpata di fianco.

Terminiamo con un tema che avevamo già approfondito nella puntata numero 3, quello dei negozi e dei mercati in questo periodo.  Ce ne parla Susanna Daniele, giornalista e scrittrice, che è nata e vive a Pistoia. Ha pubblicato con vari editori testi teatrali, e racconti gialli e noir. Il suo ultimo volume è Serra si racconta, la raccolta di un secolo di memorie degli anziani abitanti di un paese della montagna pistoiese.

I COLORI DELLA VITA

i colori della vita

È uno dei due negozi rimasti aperti in una piazza che da secoli è centro di scambi commerciali e di vita cittadina. Il verde scuro di cavoli e broccoli, le gradazioni del rosso di peperoni, pomodori, radicchio e melanzane, il bianco di finocchi, porri e cavolfiori.C’è la bandiera italiana su quelle mensole di pietra vecchie di sette secoli, e molto altro.C’è cibo per il corpo, ma anche un sorriso per l’anima che trapela dagli occhi della venditrice, c’è una parola scambiata in un momento in cui la solitudine ha il sapore acre di una cattiva medicina.

Tutti i colori del tempo, tutti i colori di Laura

Qualche tempo fa abbiamo pubblicato per #ioraccontobreve un racconto di Laura del Veneziano

Quel racconto ci aveva colpito molto perchè trattava, anzi esaltava il tema del dettaglio e del colore/non colore, e di quei piccoli spazi e anfratti lavorativi, condominiali o domestici, dove la nostra attenzione si soffermava complice la quarantena, assai più di prima. (e si sofferma ancora, perchè tanto ora la quarantena non sta scritta nelle autocertifcazioni ma peggio ancora nelle nostre paure).

Il racconto si intitolava ‘Bianco’ e funzionava, essendo una introspettiva inversione tonale, come un negativo in fotografia: non poteva non lasciare la porta aperta a un positivo, cioè al racconto  che segue...

capperi 2

La pianta di capperi, le lucciole e tutti gli altri miei colori

Quando ero bambina, ero particolarmente affascinata dalla pianta di capperi, non da una pianta di capperi generica, ma proprio da quella pianta di capperi che, ai miei occhi,
inspiegabilmente cresceva sul muro esterno della casa di mia nonna. Mi si presentava alla vista ogni volta che, svoltato l’angolo dovevo salire le scale. Me la ricordo con estrema chiarezza proprio perchè la mia curiosità era attratta dal come. Come era possibile per una piccola piantina sbucare dal nulla in mezzo al grigio edificio? Come le riusciva di vivere rimanendo giorno e notte, attraverso le stagioni, abbarbicata ad un muro? Le sue foglie verdi, tondeggianti, regolari, di diverse dimensioni ma pur sempre in una composta armonia, attiravano la mia attenzione verso il centro della pianta, dove i fiori, che dal bianco sfumavano verso il fucsia e quasi il viola, mi piacevano da matti perché ostentavano una forza incredibile. La forza della sopravvivenza, di chi resisite incurante di tutto e di tutti, di che ci riesce sempre: quella pianta di capperi mi mostrava in tutta la sua essenza la capacità che oggi noi esseri umani nominiamo come resilienza, senza poi riuscire più di tanto a provocarla dentro di noi.
Fermo guarda eccone due, ce ne sono soltanto due”. E’ buio il primo giovedì di libera
uscita qui tra i campi intorno casa e l’idea di uscire fuori con i bambini per cercare le lucciole mi viene in mente durante la cena, guardando appunto il cielo che muta i suoi colori verso lo scuro.

Le lucciole, nelle mia memoria di bambina riempivano la natura ed il paesaggio intorno casa. Ne ricordo talmente tante, nelle calde notti di maggio! Quasi da poter suscitare spavento nel mio cuore infantile, per stranezza e sorpresa. Gialle, alternate, lucenti, illuminavano il nero scuro di quel buio che non poteva farmi paura, essendo io completamente padrona di quei luoghi.

A distanza di qualche decina di anni invece, qui ne vediamo soltanto due. Sono sufficienti per lasciarmi andare. Chiudo gli occhi. Il silenzio. Il vento caldo. Il mio respiro si nutre di una sensazione benefica ritrovata, rinnovata, inaspettata. Per qualche istante torno bambina a riscoprire dentro di me la gioia, la bellezza e il calore di una fanciullezza e di una vita meno in bilico di quella di questi giorni. Una vita piena, colorata di libertà. Che colore ha la libertà? Il colore delle nostre due piccole lucciole, poche, troppo poche, ma ben salde, nel loro tentativo di tenersi stretto quell’angolo di natura che abbiamo riservato a loro.

colori primari
Di mattina presto oggi ho deciso di dare una svolta a questi giorni, ed esco per una
camminata solitaria. Stare sola mi ha sempre dato conforto e continua a farlo anche adesso, che tutti, sono preoccupati della mancanza forzata di legami sociali. Il colore della solitudine mi si addice, perché è pieno intenso, vivo, mio, se dovessi dipingerlo sarebbe un blu immensamente profodo. Mentre procedo per le strade ancora un po’ sonnecchianti, mi accorgo che i colori della mia città sono cambiati, complici le pochissime persone in giro.

Osservo che il rosso dei papaveri ha invaso anfratti inaspettati e mi sorprendo di adocchiarli laddove non avrei mai pensato fosse possibile. A tratti il verde delle foglie degli alberi si lascia mescolare in tutte le diverse tonalità che questo colore vitale è in grado di offrire, per poi, all’improvviso, spostarsi per una folata di vento e mostrarmi un azzuro incredibilmente pieno: il cielo è di una limpidezza sorprendente.

Camminando sulla stradina sterrata, un sapore lievemente terroso si alza dai miei piedi e mi accorgo che anche il colore marrone sembra parlarmi e diffondere tutto intorno, nelle sue sfumature cangianti, la sembianze della vita che ha custodito gelosamente al caldo durante tutto l’inverno. Una domanda mi accompagna nel ritorno verso casa: è il sole che, come il resto della natura, si è ripreso il diritto di far risplendere di una intensità più viva tutti questi colori? O forse sono io, che adesso, da sola, mi concedo una diversa possibilità di guardarmi intorno, posando la mia attenzione su particolari che prima, la vita frenetica non mi permetteva di cogliere? Sono forse questi che solo adesso riesco a notare, tutti i miei colori?

Capperi

Il dubbio si scioglie quando decido di fermarmi a comprare la mia pianta di capperi.

#oraccontobreve: i magnifici tre della quarta settimana

E mentre  il domino letterario è arrivato alla quinta settimana,( con Elisa Mariotti, chiamata in causa da Martina Delpiccolo, che suggerisce la lettura de “I cieli visti dal tempio” (Effigi edizioni) di Silvia Schiavio) questo quarto appuntamento di #ioraccontobreve è un dialogo (purtroppo rigorosamente a distanza) tra due categorie, gli insegnanti e gli alunni, quanto mai sulla cresta dell’onda in questo periodo. Poi c’è un convitato di pietra, il mezzo elettronico, digitale. Come l’acqua non ha sapore, odore, o colore. Ma a differenza dell’acqua, non sembra capace di ‘dissetarci’ davvero

Iniziamo

DO ALGORITHMS PLAY AN ELECTRIC BLUES?  di Massimiliano Bellavista

distopia 4

Con brevi istruzioni può azzurrarti gli occhi affinché scintillino di rimando sullo schermo come soluzioni in cerca di un problema affinché tu veda un mondo irreale, un miraggio, un’alba binaria grondante pixel e bit ‘unmondochepoiungiornotuttoquestosarà(virtualmente/diperatamente)tuo’.

Una realtà aumentata si direbbe quando invece è solo diminuita quando invece l’essenziale e il bello sono nel contatto, nell’addizione di corpi, prova se non ci credi a frapporre un diamante all’aurora, o anche a un semplice sorriso. Essere umani significa pretendere ogni giorno dal prossimo una libbra di carne e un quarto di pazzia. Ma vallo a spiegare a un chiunque qualcuno ora che la corsa è lanciata e lo stadio digitale bolle di grida e frigge di applausi.

Qui nell’acido sterile di una connessione postata silenziosamente su un tavolo di quercia c’è tutto intorno una trama bugiarda, una trincea invisibile di paure. Pensare che l’uomo sia direttamente deducibile dai fatti che tu sia sezionabile in una cascata ordinata di piccoli problemi e necessità, è razionale follia. Ma poi chi ti dice che questo non sia già successo e pure molte volte e non si sia il prodotto di un’ostinata e più che meritata Nemesi? Meritiamo di estinguerci, anzi, di spegnerci.

Perché può darsi che Dio la pensi come mia nonna:Quando non funziona non stare a grattarti. Spegni e riaccendi.

E continuiamo con Simonetta Losi, collaboratore Esperto Linguistico all’ Università per Stranieri di Siena, giornalista ed esperta in divulgazione culturale.  Se ci leggete da Vega e non sapete nulla (dato il ben noto ritardo relativistico del nostro segnale televisivo ad arrivarvi) dell’attuale istituzione della DAD, la famigerata didattica a distanza, leggete questo assi ben confezionato racconto e ve ne farete un’idea precisissima. No, amici Vegani, purtroppo non si tratta di un racconto distopico…

LA PIATTA FORMA DIGITALE

distopia 2

E così la mia didattica in una manciata di giorni è entrata in zona rossa attraverso una rivoluzione copernicana. Pochi clic e accedo a una piattaforma. Davanti, un vasto nulla animato.

Siamo chiusi dentro, ma immagini e parole dette, scritte, cantate, viaggiano libere raggiungendo studenti intrappolati a Siena, o fortunosamente tornati a casa, collegati dal mondo.

Prima, cancellando la lavagna, mi chiedevo dove andavano a finire le parole. Me lo chiedo ora, che sono un misto fra dj, avatar, voce disincarnata, su un ponte tibetano virtuale affollato, instabile.

Mancano presenza e relazione: insegnare a distanza è una piatta forma.

Gli fa da perfetto eco Maddalena Biserni, 16 anni, che frequenta la IIB del Liceo Classico Enea Silvio Piccolomini di Siena. Scrive molto bene Maddalena, leggere pennellate che poi cominciano a pesare sui pensieri. Insegnanti e studenti, come si vede, sono entrambi naufraghi sulle sponde del mare…virtuale.

TRA SOGNO E VIRTUALE

Il solletico dei fili d’erba che incontrano le mie braccia scoperte, il ronzio delle api che passano da fiore in fiore. I raggi del sole che sembrano fatti per scaldarmi la pelle. Gli universitari ridono seduti in terra aspettando la prossima lezione, alcuni fanno pranzo. Dietro sento il rumore leggero delle note di un pianoforte che si rincorrono tra loro, viene dal Collegio Tolomei. Passa un uomo con un cane, mi fermo ad osservarlo.

Mi balena in testa l’idea di andare da lui e chiedergli se posso accarezzarlo. Ma è notte e sono a casa sul letto e l’unico rumore che sento è il ticchettio dell’orologio sul comodino che mi ricorda che domani ho le videolezioni.

distopia 1

E nella morsa di tutta questa virtualità a pronta presa sotto vuoto spinto si perdono anche i confini dell’esperienza, si sovrammettono quelle vissute da altri quelle immaginate, quelle ancora da vivere. Dov’è la polvere, copre solo il passato o anche il futuro? Kevin Tushe, anche lui Liceale di 16 anni e tra l’altro fresco segnalato del Premio Asimov con una bella recensione , ha un’idea ben precisa al riguardo. E certo anche lui sa maneggiare molto bene la penna, e non lo diciamo solo noi.

POLVERE

distopia 3

Le mie dita blandiscono i lisci involucri, un tempo sgargianti, dei vinili, ora giacenti sbiaditi nel solaio. Scorro rapido i titoli, in cerca di memorie di gioventù trascorsa. Mi soffermo su una copertina avvolta da una densa patina di polvere: ne estraggo alla cieca il disco e, poggiato sul lettore, Born to Run di Bruce Springsteen avvolge l’ambiente. Sulle note di “We gotta get out while we’re young” rievoco il tepore delle sue membra che si confondono con le mie. Rimorsi di amori mai nati riaffiorano: rivivo drammi per esorcizzarli, finendo inevitabilmente soffocato dalla polvere stessa, nella quale mi reincarno, residuo di tempi distanti che non mi appartengono.

 

#ioraccontobreve alla terza settimana: i tre migliori

 

Ringraziando ancora per il costante flusso di racconti che generosamente ci inviate, constatiamo che il vincolo delle 100 parole, lungi da rappresentare una trappola, esalta invece la qualità della narrazione. Il livello dei testi pervenuti è molto alto, sia tecnicamente sia nei contenuti.

Solidali a Milano, ancora in grossa difficoltà, iniziamo con uno ‘Scanu d’autore’ che riguarda proprio il Duomo. (Lo ringraziamo per la Sua generosità e siamo certi che se prossimamente pubblicherà davvero una raccolta di racconti brevi, sarà un bomba!)

IL DUOMO DI MILANO È UNA MERINGA di Stefano Scanu

duomo

La ventiquattrore in una mano, il piccolo Leo nell’altra. Alle sette del mattino Piazza Duomo sembra un colpo di cipria, la cattedrale una meringa gotica che galleggia sui portici. I tram frignano nel nebbione che ubriaca tutti di solitudine. Sul 23 Leo e il padre contano le fermate come grani di un rosario, spiano i profili densi dei palazzi, dei passeggeri. Ad ogni curva le mani si perdono e cercano, ciecamente.

Poi la scuola, il tram si svuota, la marea bianca scivola e scopre.

Solo adesso Leo vede la mano che stringe e il padre come fosse la prima volta

E per i fatti curiosi della vita e delle lettere, dopo un romano che scrive di Milano, eccone un altro che scrive di…Roma! Ma si tratta di una Roma davvero inedita che in questo davvero notevole racconto, più che alla Grande Bellezza assomiglia a un grande e sgangherato suq. Ci manda il testo Francesca Condò, architetto specialista in restauro dei monumenti. Da settembre 2015 è in servizio presso la Direzione generale Musei del MIBACT con incarichi relativi a rapporti internazionali bilaterali, progettazione di mostre in Italia e all’estero. Si sta occupando di attività per il miglioramento del racconto museale, tema che ci è molto caro e su cui speriamo di tornare presto per Caffè 19.

MEDIO ORIENTE ALLA FINE DELLA STRADA

Pandemia. Domenica 3 maggio, quasi alla fase due. Potrei andare alla Coop ma ho paura – venerdì sono stata in fila a leggere dalle 8 e mezza e sono uscita con la spesa alle 13 e 25. Avanzo, mascherina e guanti – tutte e due riciclate – fino ai bidoni della spazzatura, Il sistema postmedievale di Roma anni 2000: sempre pieno, sempre sporco. Farmacia chiusa. Per la prima volta vado oltre le due rastrelliere di frutta e entro nel negozio. Mio fratello dice che ci sono anche altre cose, là dentro, oltre alla verdura: era tornato a casa con un bricchetto di panna fresca della centrale del latte. Mordo la madeleine: le cose che mi servono non ci sono. Scaffali con merce rada, biscotti improbabili. Datteri e sacchi di legumi a terra. Il frigo con le bibite gassate. Cerco le verze ma dal banco mi guardano solo cavoli alienati. L’uomo dietro ai banchi è restio a rispondere. No, ci sono solo quelli. Pago, tentata di dire shukran alla donna alla cassa in mascherina, occhiali e chador rosso. C’è penombra, come nelle infinite botteghe che ho visto in Giordania, in Tunisia, anche in Turchia. Ma sono a poche centinaia di metri da casa. Via Guareschi, Laurentino 38. Roma.

SUQ

E da Roma ci spostiamo in una sfera più intima, in questo metamorfico racconto di Giuseppe Capurso. Giuseppe dice di sé che nella sua Padova scrive per divertirsi e si diverte scrivendo. Scrive favole e racconti per bambini, e questo ben lo si intuisce dal ritmo e dal tono della sua narrazione, al contempo giocoso ed elegante. Anche noi ci siamo divertiti molto leggendo il suo pezzo, speriamo che ce ne manderà altri o forse magari delle favole (perché alle favole ci crediamo ancora) e non possiamo esimerci dal fare un saluto ai suoi gatti Casper e Felix.

IL SOGNO

SOGNO

Precipito dentro il tuo sogno. Ti sfioro le spalle. Tu ti volti sorridendo ma io mi sono trasformato in un gatto. Provi ad accarezzarmi ma io scappo e mi nascondo in un cesto, lo apri e ci trovi un cactus. Hai paura di toccarmi, ti volti per prendere un guanto ma io sono una rondine. Tu mi guardi, con la testa all’insù mentre volo in una stanza completamente bianca. Sfioro una parete, scendo e divento in una porta di legno. La apri, entri e precipiti dentro il mio sogno. Mi sfiori le spalle, io mi volto sorridendo ma tu ti sei trasformata in un gatto.

Forse in effetti meglio restare nei territori del sogno. Anche perché fuori dal sogno sono tempi davvero duri per tutti, anche per categorie un po’ particolari, perché ci sono da ripensare riga per riga e verso per verso perfino i gesti quotidiani (e le nostre reazioni ad essi). Ce lo spiega bene Stefano Valacchi, toscano, senese, che ci dice di scrivere di tutto, ma in special modo racconti. Quanto al messaggio che ci ha inviato, approfittiamo per dirgli che secondo noi la sua prova è ufficialmente riuscita! Lui capirà.

TABACCHERIA  COVID 19

Arrivo in tabaccheria. Persone in fila con guanti e mascherine. Fermi tutti! urlo. Ma dove va? Faccia la fila! E stia ad un metro di distanza! E indossi i guanti! dice un’anziana signora scuotendo la testa. Ma non lo vede il telegiornale? Quando è il mio turno con i guanti fatico a prendere la pistola. È una rapina! urlo nuovamente. Si meglio, e con ché? ironizza il tabaccaio. Dalla rabbia mi strappo maschera e guanti. Tutti gettano portafogli e borse a terra. Prenda tutto ma non ci tocchi… non ci tocchi… non ci tocchi…

                                           RAPINA

#ioraccontobreve: i tre migliori della settimana

I racconti continuano ad arrivare inesauribili.

Oggi abbiamo tre ‘100 parole’ che si intrecciano perfettamente.

Iniziamo con un racconto d’Autore del nostro impareggiabile Stefano Scanu

Essere un’orca

orca

E in quel sogno ferino, il delfino si librava pelo pelo sull’acqua, sul buffetto di spumosa bianca che solleticava il dorso e le pinnuzze flaccide. Ebbro di fregole, rideva con la bocca-becco da bambino e gli occhi cinesi.
Nel dondolio maroso sognava d’essere un’orca assassina: mordeva l’acqua mentre le manuncole la schiaffeggiavano, la montavano a neve. Spettacolo di un candore più opalino della schiumetta su cui s’ardiva di volare, manco fosse un pesce-rondine. Ne avrebbe eseguite altre cinque almeno di queste piroette trasognate prima di risvegliarsi nella teca di vetro temperato, sotto lo sguardo sbalordito della scolaresca in gita all’acquario.

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Cosa ci ricorderemo di questi mesi? Come tipico di in trauma, e tutti certamente abbiamo vissuto e stiamo vivendo un trauma, per ognuno il punto di vista è diverso, come è diverso il senso che ci introduce in quella dinamica mentale.

Non c’è dubbio però che l’udito gioca un ruolo principe: pensateci bene, c’è forse un commentatore, giornalista o scrittore, che non abbia perlato del silenzio di questi giorni?

Ecco allora Mita Feri, senese, che si diletta di scrittura creativa e nella quotidianità si occupa di promozione culturale e turistica e di consulenza alle imprese per un’Amministrazione Comunale della provincia di Siena, raccontarci l’oro del silenzio

orecchio

C‘è un attimo perfetto prima della pioggia, quando la terra, turbata, freme come in attesa e accarezza l’oro del silenzio. Il silenzio è verità, serba le parole affinché non vadano inutilmente sprecate. Un po’ come fai tu quando assapori quell’assenza colma che ti riempe il petto, nella fiduciosa attesa del mio ritorno: un dono la tua mano calda, aperta a lenirmi fastidi e dissapori della quotidianità. La pioggia è generosa sulla terra, oscura il cielo, si moltiplica in tante fresche gocce: è dono d’amore. E come solamente l’amore sa fare, concepisce meraviglia, lasciando germogliare nuova bellezza e preziosa vita per l’eternità.

Mentre è la nostalgia del rumore il tema del 100 parole di Silvia Roncucci, autrice di articoli storico-artistici, saggi, racconti, scritti umoristici, romanzi, guide per ragazzi, che ha pubblicato due romanzi brevi, Non tutto è da buttare sul tema del ‘riciclo esistenziale’ e L’anno della morte di Kurt un romanzo generazionale ambientato tra gli anni Novanta e la contemporaneità. È in uscita il mio terzo romanzo, Solo per sentirselo dire. Fondatrice del Gruppo Scrittori Senesi, attualmente conduce la rubrica letteraria domenicale Liberi con i libri in onda sul canale Facebook e Youtube di Radio Epicentro. Ma la cosa più importante è che condividiamo con lei una sana e sincera passione per il pistacchio!!!

Nostalgia del rumore

Non state in mezzo alla strada, venite più vicini, il microfono è già al massimo, per favore non allontanatevi senza avvertire, la fila ai bagni pubblici non era prevista, questo clima infausto neanche, l’ingresso al Duomo si paga ma ne vale la pena, se non ce la fate a camminare aspettate seduti in piazza, il pranzo è tra un’ora, credete di resistere? Mentre cammino in una scenografia urbana deserta, quesiti, lamentele e pretese dei visitatori che sciamavano per Siena, ronzano nella mia memoria come una voce diventata cara solo dopo aver smesso di torturarmi le orecchie. 

silenzio

E poi c’è il tema del dettaglio e del colore, e dell’esaltazione di quei piccoli spazi, anfratti lavorativi, condominiali o domestici, dove la nostra attenzione si sofferma gioco forza più di prima.

Ed ecco in questa linea il contributo di Laura Del Veneziano, psicologo, psicanalista, impegnata in varie realtà sociali di volontariato, amante della lettura.  Dal 2017 inizia la pubblicazione di suoi lavori con la casa editrice Giovane Holden: “Lo specchio di oKram”, “Perlanera”, “Lasciami parlare…” “Lasciami parlare…ancora”. Attualmente in preparazione altri lavori di scrittura. Segnaliamo il suo filone di ‘Lasciami parlare’ perché originalissimo e perché su questa chiave psicoanalitica torneremo sicuramente su Caffè 19.

BIANCO

bianco

Il colore è bianco, anche se minuscoli puntini di intonaco, visibili ad occhio nudo, ne interrompono imprevedibilmente la monotonia; la superficie è ruvida al tatto, ma questo è il senso che utilizzo di meno nei nostri riservati momenti di incontro. Mi ritrovo a fissarlo per ore e lo ritengo un regalo meraviglioso. In un contesto diverso, questo mio atteggiamento, sarebbe forse giudicato folle, mentre per me ha un autentico sapore di sopravvivenza. È quasi un sospiro di sollievo, il piccolo ritaglio di parete che mi si presenta alla vista in questi giorni: è il mio tempo, per pensare, scrivere, lavorare…

#IORACCONTOBREVE: i racconti della prima settimana

E così, dobbiamo sinceramente e sentitamente ringraziarVi. Stanno arrivando molti racconti, caratterizzati da una passione ed un entusiasmo che per certi versi ci sorprende. Sono talmente tanti e belli che ne pubblicheremo alcuni a cadenza fissa (merciledì) ogni settimana. Ma anche coloro che si vedono pubblicati, rimangano collegati (e se  lo desiderano, ci mandino altro) perchè alla fine ci sarà un premio e una sorpresa.

Stefano Scanu, intanto, ci manda un suo racconto d’autore per rompere il ghiaccio. Del suo racconto sulle liste ci ricordiamo ancora con piacere!

Il deragliamento
Almeno voltati, fatti aiutare con la valigia, dimmi il tuo nome. Invece anche stavolta te ne stai lì anonima a guardare dal finestrino. Ti vedo malgrado la cortina di pendolari che ci separa. Perfino adesso che la luce si spegne e ogni cosa abbandona il suo alloggiamento. Vroum! Uno scossone gonfia l’aria e sbriglia le grida, s’alzano gonne, si scuciono gli orli, le scriminature si sfogliano, gli auricolari s’avvitano. Nel rollio il metallo sibila, esplodono riviste, telefonini, incisivi. Schizziamo tutti come cinesi al circo, frollati. Ma non tu.

 

Iniziamo oggi con la pubblicazione di tre racconti molto diversi tra di loro.

Cosa è l’istantaneità?  Ce lo dice a suo modo Fabio Marazzoli, fiorentino, scrittore e giallista, che lavora a Siena come ispettore informatico ma ci scrive da Poggibonsi, in provincia di Siena. È nascosta spesso in una immagine, come quella della propria casa. Ma questa casa è da intendersi in senso lato, come paese, comunità in grado di proteggerci e farci sentire bene anche in quarantena, da uomini coscienti delle proprie radici e del valore di una miriade di piccole cose, che stanno tutte sen strette dentro queste cento parole. Grazie Fabio!

 Il mio paese

marazzoli

Voglio bene al mio paese. Qui il sole sorprende ogni mattino facendo capolino fra le verdi pendici dei colli e colorando di riflessi rossastri le acque dei fiumi al tramonto. Tutto intorno risplende e il bagliore incastona un paese operoso fatto di gente. La gente è vicina, la senti al tuo fianco. La senti la gente, è nell’aroma fragrante del pane fresco nelle ceste bianche del fornaio giù da basso o nel brusio pomeridiano fra le stradine illuminate. Ma è anche nel sorriso della vicina di casa che ti porge lo spicchio d’aglio per una pomarola come si faceva una volta.

E una volta a casa? Si dice che in questi giorni molto italiani stanno riscoprendo la radio, più che la televisione. Ma nel racconto di Federico Romagnoli, scrittore e poeta, nato a Siena, città dove vive e lavora e Dottore Ricercatore in Letteratura Italiana Contemporanea con una tesi sul poeta senese Cesare Viviani, la radio è solo una scusa e una metafora. Come il concetto di ‘ferita’. Del resto, non era proprio Viviani ad aver scritto “”la vita ti fa una ferita e tu con le dita vuoi rimediare cucendo, attento che i margini combacino”?

La radio

radio

La notte è un selvaggio dispendio di energia. Chitarre selvagge distruggono le onde. Nuovi mondi e nuove percezioni. Sulle ali della vendetta. Non puoi alzare il volume come vorresti. Ma puoi immaginartelo. Puoi anche danzare estatico sulle fantasia che sciaborda e ti rende il mal di mare. Sono un romantico. Di quelli che si buttano nella tempesta. Perché non hanno niente di meglio da fare. La ferita poi. Me la lecco tutte le notti. Mentre danzo. Estatico e selvaggio. Spennello plasmo dilato le griglie grigiastre della mia vita. La ferita è la mia vita. Spengo la radio. Amen

E questa climax improntata ad un crescente erotismo termina con l’opera di Dimaco. Di lui dice che “anche cercando su internet, non si trova nulla. Si suppone sia vivo.”. Abbiamo cercato per curiosità, è proprio vero. Ma azzardiamo che Neruda non gli sia indifferente. Consigliamo a tutti con l’occasione di rileggerlo Neruda, a cominciare proprio dal Sonetto XXVII ‘Nuda sei semplice’.

NUDA

NUDA

Nuda sei meglio.

Te ne stai nuda davanti a me con l’espressione di chi sa che può tutto.

La luce filtra dalla persiana e ti disegna strani ghirigori addosso, sembrano tatuaggi di guerra.

Mi sfidi.

Io non ho argomenti di fronte all’arroganza dei tuoi fianchi.

Sto zitto e ti guardo e basta.

E anche tu mi guardi, con aria di superiorità, sapendo già che vincerai.

Forse se tu fossi vestita potrei almeno provarci, a resistere.

Ma sei nuda.

E allora io che posso fare?

Mi hai disarmato.

Posso solo arrendermi.