
TERZO POSTO
Fuori dall’ombra di Laura Tarchetti
È inutile cercare responsabilità da caricare su qualcosa o su qualcuno. A volte le vite vanno semplicemente come devono andare. Alla mia è successo così. Non sopporto chi mi dice: “se avessi fatto”, “se avessi scelto” o peggio: “avresti dovuto”. Molti anni fa, mi è capitata una strada e l’ho percorsa con i mezzi a mia disposizione. Per proteggermi ho eretto muri e scavato fossati, circondandoli di rovi spinosi. Ho chiuso ermeticamente la porta e anche, il più possibile, la bocca. Gli occhi, non è stato necessario. Sono fortunata, faccio per mestiere quello che mi più amo: gioco a scacchi. Chi critica la mia solitudine, il buio delle mie stanze, le mie giornate silenziose, può dirsi altrettanto soddisfatto di sé? Sicuri che la felicità faccia rumore? Che debba brillare sfacciata sotto il sole?
Quando, come oggi, abbandono per lavoro i luoghi a me familiari, scivolo nel mondo magico delle partite, dove mi sento altrettanto a mio agio. Devo tenere al sicuro il mio Re, magari capiterà di incontrarlo ancora. Sono perfettamente concentrata.
Ma un rumore di passi, ora, fa scricchiolare la mia quiete, incrinandola pericolosamente.
Decido veloce, alfiere in D4, scacco. Fermo il cronometro, devo fare una pausa. Prendo il bastone e mi alzo, allontanandomi dalla scacchiera.
La crepa si allarga. Due parole, le sue, e il silenzio si spezza.
- Ciao, Anna.
Una lama di luce irrompe attraverso la breccia, si rovescia nella sala e mi avvolge in un calore dimenticato, splendente.
Sono cieca, è vero. Ma io, comunque, vedo.
SECONDO POSTO
SOTTO I RIFLETTORI di Andrea Mariani
La sagoma di Anne Binoche emerse dal fondo del palcoscenico un tratto alla volta. Si fermò a un metro dal proscenio, abbozzò un sorriso che tanto ricordava una ferita aperta e sollevò un braccio scheletrito tirando la manica del costume di scena.
“Sotto i riflettori, ho sempre finto di essere una donna forte, brillante, dalla battuta pronta.” Si sfiorò l’ovale quasi a volersi liberare di una maschera immaginaria. “E ora sono qui per mostrarvi il buio che si nasconde dietro l’attrice che tutti conoscono.” La voce le s’incrinò e le spalle ondeggiarono quasi sferzate da un colpo di vento. “Se mi guardo indietro, vedo una ragazzina travolta troppo presto dalla celebrità; una ventenne anoressica dipendente dall’anfetamina; una trentenne con manie suicida; una quarantenne dedita all’alcol e, infine, una cinquantenne che si guarda allo specchio e si riconosce a stento…”
Le luci del teatro si accesero d’improvviso, scontornando la seduta delle poltrone e le modanature del loggione. L’attrice sbatté le palpebre, si guardò intorno e le parole le morirono in gola.
Il tecnico del suono le si avvicinò, le sistemò il piccolo microfono nascosto sotto l’orlo della scollatura e se ne tornò dietro le quinte.
La voce del regista rimbombò un attimo dopo.
“Anne, ci prendiamo cinque minuti di pausa. Poi ripassiamo le battute. Attieniti al copione ed evita d’improvvisare. Tra due ore vai in scena e gli spettatori vogliono vedere l’attrice sotto i riflettori, non una donna che si piange addosso; quella lasciala nel camerino, possibilmente al buio.”
PRIMO POSTO
LA LUCE di Roberta Grugni
Le mie amiche hanno detto che sarà un viaggio spettacolare. Non so dove l’hanno sentito dire, nessuno è mai tornato da laggiù. Ma tra otto minuti lo scoprirò.
Sono un po’ emozionata, mi dispiace lasciare casa, ormai mi ero abituata a fluttuare sulle onde del nostro lucente padre. Ma è da tempo che è irrequieto e ha deciso di mandar via tante di noi. Forse ormai siamo troppo vecchie e dobbiamo far spazio alle più giovani.
Così prendo un bel respiro, deglutisco, chiudo gli occhi e parto. 300.000 chilometri al secondo potrebbero far vomitare chiunque, ma non me, anzi io mi diverto. È come salire in giostra, una volta partiti, non vorresti mai scendere.
E allora via! Il buio dello spazio mi avvolge, non è bello stare qui fuori, c’è troppo silenzio. Ma è questione di un attimo e all’orizzonte già vedo la mia meta. Wow! Avevano ragione le mie amiche: è blu! Mi fiondo a capofitto ed entro nella sua atmosfera. E anche se il blu, sopra e sotto, è il colore dominante, c’è anche tanto verde, e qua e là del rosso, del giallo. Sono macchie irregolari e invitanti. Ma io non ho il controllo della mia direzione; vorrei andare verso quell’azzurro che si muove in onde cadenzate, e invece finisco dritta dritta verso una macchia scura, grigia, fumosa. Una macchia triste da cui si levano lamenti. Cado in uno stretto vicolo, un coacervo di finestre, sporcizia, puzza, dove quelli come me faticano a entrare e sembrano malaccetti. Poi vedo una minuscola creatura con i pantaloni rotti che alza il viso al cielo e mi sorride. E capisco di essere finita nel posto giusto.