

http://www.controluna.com/prodotto/la-poesia-e-morta-e-altri-versi/
Ringrazio il Museo Marino Marini per questa bella sorpresa: sono onorato che sia parte del Marinifesto. Sono contento in generale quando si affrontano in modo così creativo le questioni, attualissime, della fruizione della cultura, del racconto delle città d’arte e dell’interazione con gli spazi museali.
Quando i futuristi pubblicarono il primo manifesto artistico del 20° secolo nel 1909 stavano aprendo la strada a qualcosa di più di una rivoluzione creativa. Stavano offrendo, insieme ad artisti e pensatori , soluzioni ai problemi del tempo che ancora oggi segnano il nostro presente culturale.
“La vita non è la contemplazione delle cose fatte” (cit. Marino Marini) ma investimento per il futuro con un pensiero “laterale” creativo diverso.
Il #Marinifesto vuole per questo andare oltre le parola/guida dell’artista Marino Marini e aprirsi a tutti i creativi , artisti, designers, architetti, musicisti, scrittori, grafici, visionari di tutte le latitudini che vogliano contribuire a costruire i contenuti per la cultura del futuro con il loro apporto. Una “chiamata all’arte” attraverso le parole, i sentimenti, il pensiero di chi vuole lasciare un segno oggi per fondare il domani.
Questo il contributo che ho inviato in Aprile per il #Marinifesto:
“Quando è fuoco non brucia il mondo, lo trasforma. È sia torcia che focolare.
Quando è tempo non consuma, è taumaturgo che sana, anticorpo che difende.
Quando è pensiero non è astratta, è artefice in opere del futuro.
La cultura sarà questo tempo, pensiero e fuoco. Di tutti.
Questo tempio sacro montato su di un carro di Tespi.”
Ringrazio sentitamente Stefano Zanerini (anche per la pazienza dimostrata nei primi minuti di difficoltoso collegamento!!!) e Katia Brentani (per il suo instancabile lavoro di questi giorni)
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Ultimo week end con Italia Book Festival. Ecco il programma! Non mancate.
Oltre 80 case editrici e quasi 4mila libri a disposizione Potete riguardare tutte le interviste di questi giorni nella sezione “Appunti di viaggio”
23 maggio
10:30 Incontro con l’Editore – Pandilettere Edizioni
11:00 Incontro con l’Editore – Ecogeses cooperativa 11:30 Incontro con l’Editore – Buendia Books Edizioni 12:00 Selezione di Booktrailer 14:30 Incontro con l’Autore Incontro con l’Autore – Luca Martinelli – Giorgio Simoni – Massimiliano Bellavista- giornalista I libri:
15:00 Incontro con l’Editore – All Around Edizioni
15:30 Incontro con l’Editore – La memoria del mondo Edizioni con Luca Malini 16:00 Incontro con l’Autore – Valeria Masciantonio (Ensemble Edizioni) 17.00 Incontro con l’Autore – Marino Bartoletti e Roberto Mugavero 17:30 Ospite IBF – Vito (Stefano Bicocchi) sarà presente Marcello Trazzi dei Rems 19:00 Incontro con … il regista Francesco Gagliardi
24 maggio
10:00 L’Angolo di Mastro Pennello – Vignette-live con Pietro Peo 10:30 Incontro con l’Editore – Terra Nuova Edizioni con Nicholas Bawtree 11:00 Incontro con l’Editore – CTL Edizioni 11:30 Incontro con l’Editore Tomolo-Edigiò Edizioni 12:00 Incontro con l’Autore 15:00 Incontro con l’Editore- Errekappa Edizioni con Monica Fava Incontro con l’Autore – Simone Metalli curatore di Misteri e manicaretti a Bologna. Interviene Federica Mazzoni, Presidente Commissione Istruzione, cultura giovani, comunicazione 17:30 Ospite IBF – lo scrittore Carlo Lucarelli 18:30 Ospite IBF -lo scrittore Valerio Varesi 19:00 Incontro con i curatori dell’ebook Quadrifoglio-1 – Cristina Orlandi- Lorena Lusetti – Simone Metalli |
“Spaventosissima descrizione dello spaventoso spavento che ci spaventò tutti coll’eruzione del Vesuvio la sera degli otto d’Agosto 1779 ma (per grazia di Dio) durò poco”
Se il premio Nobel per la letteratura fosse strutturato come l’Oscar, questo libro avrebbe quello per il titolo, precursore di ben duecento anni dei titoli alla Wertmüller. Questo volume rientra nel novero dei libri sommersi che ci pososno insegnare molto su di noi, su come oggi si comunichi e su come i media enfatizzino i problemi drammatizzandoli invece che razionalizzandoli e contestualizzandoli. Sembra che qualcuno si sia davvero divertito a prendere la macchina del tempo e lasciare un opuscoletto in pieno Settecento per disorientarci.
A cominciare appunto dal titolo. Che è un vero clickbait.
Sveliamo subito l’inganno. Intanto il libro non è per niente quel che sembra.
Ma allora?
La storia va più o meno così. È una calda notte di Agosto del 1779, e sotto la Baracca della Sorbetteria, e il nostro Autore è là, tra tanta gente che si diverte all’aperto, nelle osterie e nei piccoli teatri, che intrattiene il suo pubblico recitando poesie all’impronta.
Ma questa allegria è spezzata dal Vesuvio, che si infiamma ed esplode alto nel cielo: tutti si precipitano all’aperto, ma non tanto impauriti, quanto per godersi quella specie di enorme spettacolo pirotecnico.
Se paura c’era stata, era per quello che doveva accadere, non per quello che succedeva che alla fine fu poca cosa, e chi si ricorda quella del 1737 dirà che c’è la differenza che c’è tra una cannonata e uno stronzillo di polvere sparato incoppa a un astrico.
Ma anche lì, il piatto piange perché se pure Don Onofrio sottolinea come molte di queste catastrofi o eventi naturali speciali, che siano comete, terremoti, eruzioni, equinozi, aurore boreali, solstizi o parti mostruosi, sono spesso pronostici di qualche evento maggiore che deve accadere nel prossimo futuro: mutazione di governi e principi, cadute di interi imperi, pestilenze, fame, guerre o fallimenti dolorosi, niente di tutto questo in realtà accadde mai.
Ci rimise invece come al solito la gente comune, e anche in questo caso tirandola per i capelli e nella fattispecie: 1) un impresario del teatro che non poté portare a termine l’Opera in programma, e questo scatenò effetti a catena che ne portarono di lì a poco al fallimento; 2) Vincenzo detto lo Spoletino, venditore di “chincaglierie” che per la prima volta fu costretto a sospendere e annullare la sua celebre Lotteria nella baracca presa in affitto; 3) un amico dell’autore, quasi sul lastrico, cui era rimasto di proprietà solo un bel giardino, che si ritrovò completamente coperto di cenere.
Ma qui viene fuori il vero perché del libro: secondo l’Autore i veri imbroglioni sarebbero quelli, studiosi e autorità, che tanto avevano scritto e filosofeggiato dottamente sul fenomeno e le sue supposte ‘ maraviglie’, traendone vantaggio, meraviglie che beninteso in realtà non ci furono affatto. E ce lo spiega per filo e per segno:
Lui, l’Autore, quindi in realtà sarebbe l’unico davvero sincero, e aveva solo l’intento, riuscito, di sdrammatizzare l’evento e di fugare le paure dalla testa dei suoi concittadini e così scrisse l’opera in una sola notte L’indomani l’opera vide la luce: si rise, svanirono le triste idee, ed ebbe fine il timore”.
Vi ricorda niente tutto questo? Secondo noi è probabile che leggendo l’opuscolo tanti avrebbero spento la televisione all’ora del TG…fosse stata già inventata!
Con grande piacere, dopo aver collaborato nelle fasi di prsentazione e del Premio e di valutazione degli elaborati, e dopo i bellissimi eventi Regionali che si sono susseguiti in questi giorni, finali regionali di altissimo livello che hanno avuto una notevolissima quantità di visualizzazioni, modererò l’evento finale del premio e nella fattispecie la discussione con i ragazzi del libro “Il Pianeta umano”. Questo il programma dell’evento. Partecipate, ne vale la pena perchè al di là degli importanti ospiti nazionali e internazionali che interverranno sentire i ragazzi che parlano del loro lavoro è un autentico antidoto al pessimismo imperante di questi mesi!
1) 15:55, inizio streaming: I fuoriclasse – Band Liceo Vallone
2) 16:00, Benvenuto alla Cerimonia di proclamazione del premio Asimov 2020
3) Per l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN):
-) Presidente Commissione Terza missione INFN: G. Chiarelli
-) Direttore INFN-Sezione di Cagliari: A. Masoni
4) Interludio I fuoriclasse – Band Liceo Vallone
5) 16:20, inizio tavole rotonde
–) libro “Il pianeta umano”
modera la discussione Massimiliano Bellavista
6) Annuncio libro vincitore Premio Asimov 2020
7) Saluto dell’autore del libro vincitore
8) Saluti finali
9) Chiusura evento: I fuoriclasse – Band Liceo Vallone
Il Premio Asimov è un riconoscimento riservato ad opere di divulgazione e saggistica scientifica. Nato da un’idea del fisico Francesco Vissani dei Laboratori del Gran Sasso e istituito nel 2015 presso il Gran Sasso Science Institute in Abruzzo, il premio è cresciuto costantemente negli anni grazie alla collaborazione di molte realtà scientifiche fino ad affermarsi a livello nazionale.
Il suo funzionamento è semplice: la commissione scientifica, formata da oltre 400 persone tra insegnanti, accademici, scrittori e giornalisti, ha il compito di selezionare 5 opere finaliste tra circa 200 libri pubblicati negli ultimi due anni. Gli studenti delle scuole secondarie disecondo grado partecipano al premio scrivendo una o più recensioni sui libri finalisti, decretando così il vincitore. Le recensioni vengono successivamente valutate e premiate dalla commissione.
Il premio è organizzato grazie alla collaborazione dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e di molte altre realtà̀ scientifiche e culturali quali Università e istituti di ricerca italiani, la Regione Abruzzo, la Società Italiana di Fisica, l’Accademia Nazionale dei Lincei,
l’Associazione Nazionale Librai, il CICAP, il CRS4, il CNR-ISASI, la Società Italiana di Relatività Generale e di numerosi sponsor. A partire da quest’anno, il premio arriva anche in Brasile, dove si svolgerà una edizione gemellata con quella italiana.
Le votazioni da parte dei giovani giurati sono concluse e il premio è così giunto alla sua fase finale. Venerdì 15 Maggio si terrà la proclamazione del libro vincitore con una cerimonia nazionale trasmessa in streaming a partire dalle ore 16:00 sul canale YouTube del Premio.
Le cinque opere finaliste riguardano la matematica, l’informatica, la fisica e la climatologia e sono: “Matematica d’evasione” di Claudio Marini (libreriauniversitaria.it), “L’urlo dell’universo” di Dario Menasce (Hoepli), “Hello World” di Hannah Fry (Bollati Boringhieri), “L’algoritmo e l’oracolo” di Alessandro Vespignani e Rosita Rijtano (Il Saggiatore) e “Il Pianeta umano” di Simon L. Lewis e Mark A.Maslin (Einaudi).
Per il dibattito sul libro ‘Il Pianeta umano’ modererà la discussione Massimiliano Bellavista.
Sono stati già annunciati alle scuole i migliori recensori, circa 200 ragazzi sull’intero territorio nazionale. Le loro recensioni saranno pubblicate nel sito del Premio Asimov. I numeri della quinta edizione sono da capogiro: sono ben 14 le regioni italiane che partecipano al premio (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Umbria), con 81 città coinvolte, 136 scuole e 281 docenti. Il numero più sorprendente è sicuramente quello degli studenti iscritti al premio che ha superato quota 4000, doppiando il dato del 2019.
Questi numeri sono un chiaro riflesso dell’importanza che il premio ha raggiunto in tutta la penisola e rappresentano un ottimo risultato per l’editoria scientifica. In un periodo così complicato come quello che viviamo attualmente a causa dell’emergenza dovuta al Covid-19, la partecipazione e l’entusiasmo di docenti e studenti premiano gli sforzi degli organizzatori nel tentativo di portare sempre di più la scienza tra le persone.
Anche in tempi di grande difficoltà, la scienza non si ferma.
Per maggiori informazioni
Sito del premio: https://www.premio-asimov.it/
Canale YouTube: https://www.youtube.com/channel/UCfmkKjkj4KSeWrOWVM3RQ0A
Facebook: https://www.facebook.com/premioasimov
Coordinatore nazionale del Premio Asimov: Francesco Vissani
Continua il nostro Domino Letterario che vi permette di assistere, stando a casa, a presentazioni a catena di libri. Per il quarto appuntamento Martina Delpiccolo, del cui libro avevo parlato io la scorsa settimana, propone la lettura di “La verità nello specchio e altri racconti” (primamedia editore) di Elisa Mariotti, una raccolta di 12 storie che
restituiscono la fotografia di una società come la nostra in cui si disperdono, confliggono, parlano senza ascoltarsi, molteplici “io”. Clicca qui per il video.
Il libro – Quello di Elisa Mariotti è un libro nel quale la vita si rispecchia e si riconosce, anche se l’immagine che ne risulta è costituita in prevalenza dalla violenza (individuale e di gruppo), dalla maternità vanamente inseguita o negata, dall’incomunicabilità, dalla precarietà del lavoro, dall’isolamento, dalla morte che recide vite in fiore. I personaggi che incontriamo appaiono fragili, ma sanno trovare riserve di forza inaspettate per provare a cambiare prospettiva e raggiungere così il giro di boa; sanno leggersi dentro per cercare le risposte ai dubbi esistenziali che li tormentano, anche se questo comporta una faticosa presa di coscienza; si scoprono soli e, soli, provano a salvarsi. Con una scrittura scarna ed essenziale, l’autrice ci accompagna nelle vite di Cloè, Giorgio, Giulia e dei protagonisti dei suoi racconti per dimostrare che la salvezza è difficile – perché legata alla tenacia del singolo individuo -, ma non preclusa. Disillusione e amarezza lasciano sempre il passo alla speranza, senza la quale, parafrasando Eraclito, sarebbe impossibile trovare l’insperato.
Un racconto, dalla mia raccolta 2017 ‘ Anatomia dell’invisibile‘ pubblicata da Tabula Fati, ripreso questa settimana da Toscanalibri e intitolato’Sette volte sette‘ , nell’ambito dell’iniziativa “Racconti di scrittori toscani per i giorni del Coronavirus”
Questa recensione, di un libro che consiglio vivamente, è invece apparsa un paio di giorni fa sul nr 172 della rivista ‘Dire fare scrivere‘
«I Balcani producono più storia di quanta ne riescono a consumare».
Se Churchill abbia davvero pronunciato questa frase, citata a un certo punto del bel volume di Andrea Cortesi e Luca Leone, La pace fredda. È davvero finita la guerra in Bosnia Erzegovina? (Infinito Edizioni, pp. 172, € 18,00) è incerto, e per qualche storico perfino dubbio. Ma non importa affatto, perché non si può non essere d’accordo sulla verità di fondo che questa frase sottende.
Ma Churchill da grande statista e uomo politico di lungo corso avvertiva almeno, a Seconda guerra mondiale ancora in corso, la necessità di dedicare grande attenzione a quel quadrante, al fine di trattenere sotto la propria influenza quei territori che considerava strategici. Pare invece che questo problema di consumo, anzi di “digestione” e assimilazione di così tanta e densa storia, a cominciare dagli accadimenti degli anni Novanta, abbia invece interessato assai poco l’Unione Europea e in parte anche gli Stati uniti, che ai Balcani e in particolare alla Bosnia Erzegovina, si sono progressivamente disinteressati. Tale denuncia, da questo volume corale che ha la forza evocativa di una Spoon River dei Balcani (non fosse che è tragicamente sulla carne ben viva dei testimoni tanto quanto su quella dei caduti, che tutto il dolore resta ancora inciso e visibile) viene costantemente ripetuta come un mantra.
Attraverso l’opera di Andrea Cortesi e Luca Leone, quest’ultimo peraltro non nuovo a libri di grande efficacia e coraggio su questo specifico tema, si può ascoltare, anzi “vedere” in presa diretta una ruvida raffica di testimonianze che hanno un fortissimo impatto sul lettore: «Belgrado, Srebrenica, Sarajevo. One way ticket. Staša, Lino, Ivana, Stefan, il 10 luglio a Belgrado, l’11 luglio a Potočari, Ifeta, Sakib, Tamara, Dragan, Dervo, Jakob, e poi Selma a Sarajevo».
Seppure a tratti troppe cifre troppo ripetute affievoliscano un po’ la forza di certi passaggi, grazie al libro si scorge la chiara esistenza di un buco nero alle porte di casa nostra. E forse in fin dei conti il fatto di ripetere ossessivamente le cifre di questa guerra, di questo massacro e di questa diaspora è proprio voluto, per colmare il tanto silenzio e la tanta ignoranza dell’opinione pubblica, per la cui gran parte tutta la faccenda si riduce semplicisticamente a un nome e a un numero: Srebrenica e i 1444 giorni di assedio di Sarajevo. E non si sa invece, tanto per limitarsi alla sola Sarajevo, «del tributo di sangue di 11.550 persone, tra cui 600 bambini, non i 1.600 di cui qualcuno parla e scrive» di cui racconta Jovan Divjak, generale e numero due dello stato maggiore bosniaco proprio tra il 1992 e il 1995, che ha fondato nel 1994 una associazione con lo scopo di aiutare concretamente i molti orfani di guerra.
Un territorio chiuso tra sogno e memoria
La Bosnia è per molti un buco nero perché poco se ne sa, meno se ne legge e ancor meno se ne parla. Un territorio tutto chiuso tra sogno e memoria, messo in una sorta di congelatore dal consesso politico mondiale, che però vera pace non è: è solo sospensione senza prospettive di futuro, per l’appunto una pace fredda. La gente in questa piccola regione del mondo vive tra la memoria di un inferno alle spalle, ma per certi versi mai terminato e il sogno di un paese progredito e pacifico mai realizzatosi.
Ma quel buco nero è anche spazio temporale; sulle ceneri della ex Jugoslavia, nell’arco di distanze geografiche tutto sommato esigue, esistono territori che si muovono con dinamiche economiche talmente diverse da risultare stridenti e con standard sociali, assistenziali, amministrativi distanti decenni, per qualità, tra di loro: basta guardare al divario enorme tra gli stili di vita nella Slovenia e nella Croazia di oggi, e quelli della Bosnia descritta nel libro per rendersene conto.
Michele del Buono nella sua Introduzione afferma una cosa molto giusta sulla tremenda guerra dei primi anni Novanta: «la guerra non è un tabù. Le guerre si fanno, chi non è stato toccato s’indigna, la Storia spiega e le tante giornate della memoria, con tutto il carico della retorica, raffreddano i fatti. Tutto è metabolizzato e il tempo che passa, poi, fa il resto del lavoro e si ricomincia».
Ma questa metabolizzazione è assai lunga e penosa. E quella sporca guerra ha per certi versi prodotto più vittime dopo la pace di Dayton che prima. Ecco il senso di queste testimonianze di gente che pur avendo la fortuna di riaffiorare da quelle nere acque adesso vi galleggia, non rassegnata ma incapace a fabbricarsi un vero motivo che possa spiegare tutto quel dolore, prigioniera di un passato fatto di intere famiglie e villaggi scomparsi, giovani generazioni emigrate, morti mai restituiti ai loro cari, donne stuprate e sfruttate, bambini abbandonati a loro stessi.
Così per sfuggire all’assurdità del reale c’è chi si dedica al sociale, chi alla ricerca delle fosse comuni per restituire le vittime alle famiglie, chi a insegnare una materia o uno sport ai bambini nati dalle violenze di guerra, chi semplicemente a coltivare una quotidianità di contatti sociali, laici e multietnici cosa che alla luce di queste testimonianze sembra incredibilmente più sovversiva e pericolosa che praticare la vendetta o la ribellione. In un paese spopolato, di soli tre milioni e mezzo di abitanti che però ha assurdamente ben quattordici costituzioni vigenti e vive un soffocante apartheid su base etnica, familiarizzare con l’alieno, con il diverso, è semplicemente tabù. Pericoloso per la propria e l’altrui salute. Non tutte le voci che raccontano le proprie storie nel libro ci restituiscono infatti le loro complete generalità, per il timore, più che concreto, di rappresaglie per se stessi o i propri familiari.
Storie tortuose e carsiche
Nelle storie che si dipanano a volte lente a volte con improvvise, violente e atroci accelerazioni, seguendo corsi tortuosi e carsici come i fiumi di quelle terre impervie, ci sono molti elementi ricorrenti che lasciamo scoprire al lettore. Ma ne vogliamo evidenziare almeno due.
Il primo è il tema della parola. Ciò che adesso divide i cittadini della Bosnia Erzegovina è solo un diverso tipo d’odio, ma uguali sono le loro radici, la storia, la lingua, le parole quindi. Solo che la guerra ha cambiato tutto e oggi non si trova più accordo su nessuna parola, a cominciare, come ci spiega Tamara Cvetković, attivista e peacebuilder, dalla stessa parola “storia”. Oggi infatti in Bosnia Erzegovina vi sono incredibilmente tre parole diverse per dire questa stessa cosa: i croati la chiamano povijest, i serbi istorija e i musulmani historija. La parola è anche quella che si insegna nelle scuole, sempre più politicizzate, quindi artefatta e contorta a fini propagandistici negli istituti pubblici e, in quota crescente, privati che si contendono i bambini delle poche famiglie giovani che non emigrano.
Le parole sono pure quelle, a prima vista rassicuranti, del soldato del tuo stesso esercito nazionale, quello da cui per decenni ti sei sentito protetto e che hai contribuito a pagare con le tue tasse, e che all’improvviso ti punta il fucile contro, intimandoti una completa sottomissione. Le parole sono quelle rimosse che non si possono più dire e nemmeno scrivere nei libri e sui giornali: četnik (parola usata per indicare gli ultranazionalisti serbi), balja (un antico vezzeggiativo, ora dal tono dispregiativo, con cui sono chiamati i musulmani bosniaci), ustaša (per indicare gli ultranazionalisti croati) e così via.
L’altro tema che non possiamo omettere è quello delle scarpe. Già, proprio le scarpe, l’oggetto più semplice e comune che si possa immaginare. Per esempio quelle che affiorano dalle crepe nel fango secco del fondo di un lago e appartenute alle vittime di Višegrad, sgozzate e poi buttate nella Drina. O quelle che Bakira Hašečić, una delle coraggiose donne bosniaco-erzegovesi che non si è mai arresa alle violenze subite, cerca e chiede senza trovarle. Quelle che emergono in un passo di una delle tante, bellissime e toccanti testimonianze raccolte nel libro che descrivono l’immediato dopoguerra fatto «di traumi e ferite in cui la priorità era trovare da mangiare, qualche vetro per chiudere le finestre mandate in frantumi da granate e cecchini, un paio di scarpe e provare a ricostruirsi una normalità».
Viene subito alla mente il Primo Levi de La tregua: «quando c’è la guerra, a due cose bisogna pensare prima di tutto: in primo luogo alle scarpe, in secondo alla roba da mangiare; e non viceversa, come ritiene il volgo: perché chi ha le scarpe può andare in giro a trovar da mangiare, mentre non vale l’inverso».
Speriamo che questo libro non sia una voce isolata e che possa dare un piccolo contributo di vicinanza alle vittime e di conoscenza. Grandi passi a volte iniziano da piccole cose. I tanti attivisti come Selma Hadžihalilović o Staša Zajović, fondatrice e promotrice del movimento delle Donne in Nero aspettano. Tutto un territorio e un’economia, che potrebbe essere perfino florida, attende di spezzare questa inerzia insalubre da economia di guerra sovvenzionata a livello internazionale, che favorisce solo il parassitismo e la rapacità delle attuali classi politiche al governo. Chiedetelo a Dragan Cvetković, figura da film, per certi versi quasi mitologica, che spunta con forza dalle pagine del libro come un tragico e paradossale pop-up, il quale coltiva i suoi lamponi nel territorio circostante Bratunac e Srebrenica. Un territorio un tempo ricco, con aziende meccaniche, ceramiche, cooperative e aziende agricole che davano lavoro a migliaia di contadini e ora ridotto ad un deserto. Lui vorrebbe essere imprenditore, capace di produrre autonomamente ricchezza, ma trova mille ostacoli «perché la povertà e la fame tornano utili ai regimi, permettono di comandare a bacchetta la pancia e i voti dei cittadini, meglio se ignoranti».
Ecco, in buona sintesi, a cosa davvero serve un libro.
Massimiliano Bellavista
Qualche tempo fa, con precisione nel 2018, al Pisa Book Festival una scrittrice si presentava con un libro assai particolare. Uno di quei libri originali ma anche necessari, perchè nati non solo dall’ispirazione, che è già tanto, ma dalle circostanze legate alla propria vita ed alla propria opera quotidiana, che è anche di più, come ben spiega in questa intervista, rilasciata proprio in quell’occasione. E quando la passione e la capacità si uniscono all’esperienza, non può che uscirne qualcosa di buono. L’idea che c’è dietro è quella di offrire a celebri protagonisti di opere musicali, teatrali, letterarie, ma anche a personaggi storici un’ultima occasione, un ultimo e irripetibile approdo psicoanalitico in cui raccontarsi prima dell’evento finale, la svolta del destino che li ha consegnati alla storia e al nostro immaginario.
Quel libro era “Lasciami parlare…”, la scrittrice Laura Del Veneziano, nata ad Arezzo nel 1980. Laura vive e lavora come psicologo psicanalista nel Valdarno aretino. Mamma di due bambini, impegnata in varie realtà sociali di volontariato, amante della lettura, svolge attività di ricerca sui temi della psicanalisi, del femminile e delle relazioni umane. Nel 2016 ha partecipato con uno scritto alla pubblicazione del saggio “Analityca- La passione della clinica” edito da ETS. Dal 2017 inizia la pubblicazione di suoi lavori con la casa editrice Giovane Holden: “Lo specchio di oKram”, “Perlanera” “Lasciami parlare…” “Lasciami parlare…ancora”. Attualmente ha in preparazione altri lavori di scrittura.
Le abbiamo chiesto per Caffè 19 di abbandonare per un attimo il nuovo e di riportare in vita quelle atmosfere in questo scritto inedito, Le parole dei giorni strani. Giudicate Voi, ma ci sembra che ne sia valsa sicuramemte la pena. Grazie, Laura.
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Le parole dei giorni strani
Il silenzio è forse l’ovvietà che sorprende di più in questi giorni così difficili da definire, mi verrebbe di chiamarli semplicemente strani. Questa misteriosa entità ha avvolto le nostre vie e vite per giorni, ed anche nelle ore centrali della giornata era così forte da far tremare, aveva il sapore del vuoto e della mancanza.
Silenzio, vuoto, mancanza sono significanti potenti della nostra lingua, che ora tornano a risvegliare in noi, certe emozioni profonde, certe riflessioni sulla vita, sul suo senso e sul suo valore. Sono domande che non si quietano mai nell’essere umano e che non trovano silenzio dentro di noi, loro no. Nel silenzio dei giorni strani prendono vita i pensieri degli umani quelli belli e quelli brutti e vengono accolte la parole, quelle che sentiamo più difficili e che, in effetti, ri-escono meglio nel silenzio.
Parole come quelle che ho dato l’opportunità di esprimere ai miei personaggi in un immaginario studio di uno psicanalista e che, in questi nostri giorni strani fanno eco dentro me.
“Poi mi riscuoto e il dolore e la sensazione di vuoto e di perdita più totale mi assalgono”
sono le parole di Odile, la mia Odile che riflette sulla mancanza di poter essere se stessa. Per lei si tratta di vedersi soltanto come un corpo vuoto, servito al padre per i suoi scopi. E per noi? Non ci siamo forse sentiti invadere da questa stessa sensazione nelle lunghe ore di vuoto e di silenzio dell’altro? “Non ho appetito, non riesco a dormire perché tormentata dai miei pensieri: incubi, immagini spaventose si susseguono nei miei sogni. Vago per casa, per il giardino, senza un senso, senza una meta, lo faccio più spesso di quanto vorrei, non riesco a controllarlo, è come se fossi alla continua ricerca di qualcosa, come se, la mancanza incolmabile che mi accompagna da tutta una vita, adesso fosse insopportabile.” Queste sono le parole che nello scrivere i miei racconti ho scelto per Catherine, la protagonista di Cime Tempestose. Sono parole che spesso incontro nel mio lavoro, sono quelle che le persone, a volte usano, per dare voce al loro modo di sentire la vita. Sono pensieri che adesso ascolto un po’ più frequentemente e che necessitano della possibilità di essere accolti, in modo da poter uscire invece di restare dentro ad ingombrare l’anima.
Noia: la sensazione probabilmente tra le più gettonata del periodo, insopportabile ai più, poco compresa e vissuta spesso come terribile. In fatto di noia, certamente può aiutarci a riflettere Emma Bovary, maestra di noia: “Non provo niente. Niente mi scuote. Perché dovrebbe? Esiste qualcosa che potrebbe provocare ancora una qualunque reazione in me? È come se tutte le mie emozioni si fossero, improvvisamente, addormentate dentro, e io non le sento davvero più.”
Difficile trovare parole più appropriate. Personalmente vado consapevolmente contro corrente, leggendo un lato positivo anche nella noia: se non avessimo mai la possibilità di annoiarci ci perderemmo tutta l’intensità che possono darci le cose che amiamo.
In effetti, la stessa Emma, può ricordare le cose piacevoli della vita, esattamente perché è in grado di provare la noia e questo le genera la mancanza: “Sono stata una ragazza sognatrice, ricordo con tristezza, nostalgia e distacco il tempo in cui fremevo e mi emozionavo, leggendo o ascoltando musica. Sognavo grandi passioni ad allietare la mia vita futura, come quelle che leggevo nei libri, le storie di donne amate, corteggiate, infinitamente desiderate e che vivevano vite lussuose e sontuose.” Leggere, ascoltare musica: si tratta in fin dei conti di espedienti, possono essere un tramite, un ponte tra i ricordi di un passato che ci sembra ormai troppo lontano e il futuro che rappresenta il sogno, il desiderio. Per poter continuare a desiderare a volte è necessario provare la mancanza e la mancanza in questi giorni può essere compagna della noia. Perché non provare a custodirla almeno fino a dove è tollerabile per darle una colorazione meno buia e viverla come ricordo di quello che è stato e, al tempo stesso, come preludio a tutto quello che verrà?
In questi giorni in cui si rincorrono, decreti, leggi, regole e norme da rispettare, può capitare di lamentarsi della nostra routine stravolta, appunto, da queste imposizioni. In questo tempo il mio pensiero è andato spesso a Gertrude, molto più conosciuta come la Monaca di Monza grazie al Manzoni. Ebbene sì, bisogna ammettere che l’assonanza tra i due momenti era piuttosto facile:“sono stata costretta ad una vita che mi sta stretta” faccio dire a questa donna. Insieme a lei la mia riflessione è andata a cadere su un altro tipo di costrizione, molto più vicino alle limitazioni a cui sono state sottoposte per secoli – ma in certi casi purtroppo ancora oggi ed anche in questi giorni strani – certe donne. Il suo racconto si snoda tra i momenti chiave che hanno dato l’impronta alla sua vita: “una vita limitata da rigide regole, scandita da norme, che non possono addirsi a tutte le donne, e di certo non a me.” Davvero si può pensare che una donna possa essere fermata da rigide regole? È di questo che si tratta?
“Sono stata cresciuta ed educata in modo che per me fosse impensabile altra vita, se non quella del convento. Le uniche bambole che da bambina ricevevo in dono, portavano abiti monacali. L’idea che mi è sempre stata trasmessa è che una donna non potesse fare altro, se non la suora.” È’ possibile limitare una donna, la sua natura, la sua essenza? Come? E che succede quando ci si prova?
La storia ce ne ha lasciato grandi esempi e Gertrude stessa ci racconta la sofferenza con cui è andata incontro al suo destino, ingoiando lacrime amare, ma sentendo fino in fondo che la sua natura era un’altra e ritagliandosi un suo modo per viverla a pieno per quanto possibile.
Voglio concludere con una nota colorata. Vi capiterà, come capita a me, di passare sovente di fronte ad uno specchio in questi giorni strani: i capelli hanno ormai preso ogni libertà sulla testa, il viso forse è un po’ troppo segnato dalla mancanza parziale di sonno e da una tranquillità routinaria che vacilla. Non mi allontano subito da quell’immagine, resto qualche istante in più a guardarla, ed allora inevitabilmente è lei che mi viene in mente: Grimilde.
La più bella di tutte in eterno, solo perché uno specchio – magico il suo – le diceva che lo era ogni volta che ne aveva bisogno. Perché una donna è bella? Certo che molto dipende dal gusto soggettivo di chi la guarda, ma fondamentalmente una donna è bella perché c’è qualcuno che glielo dice. Fosse anche uno soltanto in tutta la sua vita, ma è a quelle parole che una donna si attaccherà sempre per sentirsi bella. Grimilde allora, in tutta la sua originalità, ci insegna un nuovo modo di guardarci allo specchio. Guardiamo quell’immagine e cerchiamolo da sole il bello di noi, in quel riflesso, e pensiamo che quello specchio, anche se non magico, ci sta dicendo che la bellezza c’è dentro di noi anche adesso, in questi giorni strani, magari nascosta tra i capelli arruffati o dalle rughe che il trucco riesce a coprire poco bene. E se, come per Grimilde, accadesse che, un giorno, quello specchio ingrato e traditore dovesse farci notare che una certa “bambinetta sta crescendo e che potrebbe diventare molto, troppo bella” possiamo scegliere di cambiare specchio, perché sarà lui che “non dice il vero, invecchia troppo”.
I racconti continuano ad arrivare inesauribili.
Oggi abbiamo tre ‘100 parole’ che si intrecciano perfettamente.
Iniziamo con un racconto d’Autore del nostro impareggiabile Stefano Scanu
Essere un’orca
E in quel sogno ferino, il delfino si librava pelo pelo sull’acqua, sul buffetto di spumosa bianca che solleticava il dorso e le pinnuzze flaccide. Ebbro di fregole, rideva con la bocca-becco da bambino e gli occhi cinesi. Nel dondolio maroso sognava d’essere un’orca assassina: mordeva l’acqua mentre le manuncole la schiaffeggiavano, la montavano a neve. Spettacolo di un candore più opalino della schiumetta su cui s’ardiva di volare, manco fosse un pesce-rondine. Ne avrebbe eseguite altre cinque almeno di queste piroette trasognate prima di risvegliarsi nella teca di vetro temperato, sotto lo sguardo sbalordito della scolaresca in gita all’acquario.
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Cosa ci ricorderemo di questi mesi? Come tipico di in trauma, e tutti certamente abbiamo vissuto e stiamo vivendo un trauma, per ognuno il punto di vista è diverso, come è diverso il senso che ci introduce in quella dinamica mentale.
Non c’è dubbio però che l’udito gioca un ruolo principe: pensateci bene, c’è forse un commentatore, giornalista o scrittore, che non abbia perlato del silenzio di questi giorni?
Ecco allora Mita Feri, senese, che si diletta di scrittura creativa e nella quotidianità si occupa di promozione culturale e turistica e di consulenza alle imprese per un’Amministrazione Comunale della provincia di Siena, raccontarci l’oro del silenzio
C‘è un attimo perfetto prima della pioggia, quando la terra, turbata, freme come in attesa e accarezza l’oro del silenzio. Il silenzio è verità, serba le parole affinché non vadano inutilmente sprecate. Un po’ come fai tu quando assapori quell’assenza colma che ti riempe il petto, nella fiduciosa attesa del mio ritorno: un dono la tua mano calda, aperta a lenirmi fastidi e dissapori della quotidianità. La pioggia è generosa sulla terra, oscura il cielo, si moltiplica in tante fresche gocce: è dono d’amore. E come solamente l’amore sa fare, concepisce meraviglia, lasciando germogliare nuova bellezza e preziosa vita per l’eternità.
Mentre è la nostalgia del rumore il tema del 100 parole di Silvia Roncucci, autrice di articoli storico-artistici, saggi, racconti, scritti umoristici, romanzi, guide per ragazzi, che ha pubblicato due romanzi brevi, Non tutto è da buttare sul tema del ‘riciclo esistenziale’ e L’anno della morte di Kurt un romanzo generazionale ambientato tra gli anni Novanta e la contemporaneità. È in uscita il mio terzo romanzo, Solo per sentirselo dire. Fondatrice del Gruppo Scrittori Senesi, attualmente conduce la rubrica letteraria domenicale Liberi con i libri in onda sul canale Facebook e Youtube di Radio Epicentro. Ma la cosa più importante è che condividiamo con lei una sana e sincera passione per il pistacchio!!!
Nostalgia del rumore
Non state in mezzo alla strada, venite più vicini, il microfono è già al massimo, per favore non allontanatevi senza avvertire, la fila ai bagni pubblici non era prevista, questo clima infausto neanche, l’ingresso al Duomo si paga ma ne vale la pena, se non ce la fate a camminare aspettate seduti in piazza, il pranzo è tra un’ora, credete di resistere? Mentre cammino in una scenografia urbana deserta, quesiti, lamentele e pretese dei visitatori che sciamavano per Siena, ronzano nella mia memoria come una voce diventata cara solo dopo aver smesso di torturarmi le orecchie.
E poi c’è il tema del dettaglio e del colore, e dell’esaltazione di quei piccoli spazi, anfratti lavorativi, condominiali o domestici, dove la nostra attenzione si sofferma gioco forza più di prima.
Ed ecco in questa linea il contributo di Laura Del Veneziano, psicologo, psicanalista, impegnata in varie realtà sociali di volontariato, amante della lettura. Dal 2017 inizia la pubblicazione di suoi lavori con la casa editrice Giovane Holden: “Lo specchio di oKram”, “Perlanera”, “Lasciami parlare…” “Lasciami parlare…ancora”. Attualmente in preparazione altri lavori di scrittura. Segnaliamo il suo filone di ‘Lasciami parlare’ perché originalissimo e perché su questa chiave psicoanalitica torneremo sicuramente su Caffè 19.
BIANCO
Il colore è bianco, anche se minuscoli puntini di intonaco, visibili ad occhio nudo, ne interrompono imprevedibilmente la monotonia; la superficie è ruvida al tatto, ma questo è il senso che utilizzo di meno nei nostri riservati momenti di incontro. Mi ritrovo a fissarlo per ore e lo ritengo un regalo meraviglioso. In un contesto diverso, questo mio atteggiamento, sarebbe forse giudicato folle, mentre per me ha un autentico sapore di sopravvivenza. È quasi un sospiro di sollievo, il piccolo ritaglio di parete che mi si presenta alla vista in questi giorni: è il mio tempo, per pensare, scrivere, lavorare…