Le lacrime di Andromeda

Un grazie a Romeo Lucchi per questo suo inedito

«Quella un po’ più a nord è la costellazione di Perseo» disse inclinando la testa verso Miryam.

Poi indicò il cielo con il braccio teso: «Là in basso all’orizzonte…  quella è Myrfak la sua stella più luminosa. Se sposti lo sguardo a destra vedi Andromeda e il quadrato di Pegaso».

Marco abbassò il braccio e posò la mano su quella di Miryam, lei ebbe un sussulto, lui tolse la mano e le guardò il volto. Stava fissando il cielo, ma la sua mente era altrove.

«Sapevi che Perseo salvò Andromeda da un mostro marino?»

«No» disse Miryam rannicchiandosi vicino a lui e appoggiando la testa sul suo petto.

Marco l’avvolse col braccio.

«La madre di Andromeda andava dicendo che la figlia era più bella di tutte le ninfe del mare. Ovviamente loro s’infuriarono e chiesero a Poseidone di punirla».

«Là, ne ho vista una» disse Miryam.

«Esprimi un desiderio.»

«Fatto».

«A cosa hai pensato?»

«Se te lo dico non si avvera.»

«Posso almeno sapere a cosa stavi pensando prima?»

«A niente.»

«È difficile non pensare a niente.»

«A niente d’importante» tagliò corto la ragazza.

Per un po’ non parlarono. Intorno regnava la calma più assoluta. C’era un silenzio che si sarebbe potuto sentire anche il suono delle stelle, pensò Marco.

«Ne ho vista un’altra» disse Miryam indicando il cielo con un piccolo gesto.

Poi altre scie luminose si susseguirono in una manciata di secondi e i due ragazzi, sotto il magico influsso di quello spettacolo, si strinsero l’una all’altro.

«I tuoi mi odiano.»

«Non è vero, non ti odiano.»

«Non sono stupida, mi sono accorta di come mi guardano» disse Miryam sciogliendosi dall’abbraccio e allontanandosi.

«Perché fai così? Non è colpa mia.»

«Lo so. È colpa del colore della mia pelle» disse lei caustica.

«Dai vieni qui» e si avvinò alla ragazza, ma Miryam fece un movimento con la mano per allontanarlo.

Calò di nuovo il silenzio e i due ragazzi rimasero a fissare il cielo senza più interesse.

«Voglio tornare a casa» disse Miryam.

Marco cercò di recuperare: «Non prima di aver finito di raccontarti la storia di Perseo e Andromeda» disse sorridendo.

Poi scrutò il suo viso in cerca di un segnale di pace. Ma Miryam era assente, aveva il volto turbato. Marco riusciva a sentire il fragore dei suoi pensieri. Si rattristò. Afflitto, si coricò sul prato e vide una stella cadente.

«Andromeda fu incatenata a una roccia a picco sul mare. Perseo la vide e fu rapito dalla sua fragile bellezza in preda all’angoscia. In principio la scambiò per una statua di marmo» fece una lunga pausa perché la stava osservando con attenzione «poi vide il vento scompigliarle i capelli e… le lacrime scorrerle sulle guance…»

Miryam stava piangendo.

«Sai che Andromeda aveva il colore della tua pelle?» e senza aspettare la risposta proseguì nel racconto «sua madre, Cassiopea, era la regina d’Etiopia. La cosa divertente è che durante le nozze, dopo che Andromeda era stata concessa in sposa a Perseo, la regina ordì una congiura ai danni del futuro genero perché Perseo non le andava a genio. Forse perché era bianco. Sporca razzista».

Marco spostò lo sguardo sulla ragazza e la vide sorridere.

«Cassiopea, la suocera, è quella a forma di doppia vu, sopra Perseo e Andromeda. E sopra Cassiopea c’è suo marito Cefeo, il suocero»

«Mi dai un bacio?» chiese Miryam.

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Bentornato, Romeo

Mi fa piacere di quando in quando leggere qualcosa di Romeo Lucchi, genovese, uomo di teatro, affabulatore che da trent’anni si dedica ad attività legate al palcoscenico e al movimento espressivo. Suoi racconti sono stati premiati e antologizzati (La farinata, Se tornassi indietro), alcuni li trovate in rete e sulle principali piattaforme di podcasting. Ci sono diversi suoi microracconti in questo blog, tutti assai particolari e interessanti (ad esempio La tazza del vate ; Sex Tree; Glitter Eyes) . Questo è decisamente uno dei suoi!

Il sogno Matrioska

Il morello stava facendo un sogno strano. Sognava di essere di legno, un cavallo di legno, ma vivo e pensante. Come cavallo di legno sognò di essere un burattino di legno che al suo risveglio era un bambino in carne e ossa. Come cavallo di legno si svegliò di soprassalto per il dolore. Stava partorendo e dando alla luce un manipolo di soldati che subito dopo incendiarono e distrussero la città circostante. Il morello si svegliò. Era agitato. Scosse la testa e nitrì. Mangiò un po’ di biada. Tra poco sarebbe arrivato il fantino e il Palio avrebbe avuto inizio.

Barzhaz noir primo posto

Procedendo per gradi

Guardò ancora una volta la sua stessa testa fissarlo dal pavimento. Era decisamente la sua, senza ombra di dubbio. Era stata decapitata con un taglio netto da una grossa lama. Cambiò prospettiva e con gli occhi della sua testa sul pavimento vide sé stesso ritto in piedi. Decise di procedere per gradi. Stava forse dormendo? Doveva escludere la possibilità che si trattasse di un sogno. Con un rapido gesto s’infilzò la coscia con il tagliacarte che stringeva nella mano sinistra. Entrambe le teste ebbero un sussulto e all’unisono emisero un grido di dolore. O almeno così parve all’uomo che prontamente gettò a terra il tagliacarte. Per un breve lasso di tempo aspettò che accadesse qualcosa. Non registrò nulla di rilevante, a parte il forte dolore alla coscia sinistra. Annotò nella mente il dato: non stava sognando. Spostò lo sguardo di un paio di metri e vide il corpo. Se c’erano una testa e un corpo separati con tutta probabilità appartenevano al medesimo uomo. Escluse l’ipotesi del suicidio. Non restava che scoprire chi era l’assassino.

Era bravo a trovare il colpevole, il migliore. Nessuno riusciva a farla franca. Da vent’anni aveva un’agenzia in società con il fratello, col quale suo malgrado condivideva tutto… anche Maria.

Per lui non era mai stato facile avere un gemello. Doveva mettersi subito al lavoro. Posò il machete, che stringeva ancora nella mano destra, si rimboccò le maniche e si rese conto con orrore che la camicia appena ritirata dalla lavanderia era tutta sporca di sangue

 

Glitter Eyes

Si direbbe:  se Poe avesse incontrato una  youtuber…

Da Romeo Lucchi un racconto nero e allo stesso tempo …glossy glossy!!!

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Ami essere una youtuber. La giornata promette bene: c’è il sole, il clima è gradevole e ieri hai ricevuto la nuova glitter palette. Naturalmente l’hai provata subito – come potevi resistere? – ma oggi la testerai alla luce del sole: girerai il tutorial in giardino. Luce alla luce – cosa puoi desiderare di più dalla vita? – sei giovane e bella, anche se a te non importa perché ciò che davvero conta è “sentirsi bella”. Sei molto sicura di te, nonostante i tuoi diciott’anni. Vai pazza per il glitter. Adori portare il luccichio addosso. Perché tu sei una ragazza brillante.

Si va in scena.

glitter eyes 1

Porti tutto in giardino: iPad, glitter palette, gloss glitterato e il resto dei prodotti per un trucco glamour e un look scintillante. Lei ti adocchia. Tu non riconosci la sua voce.

La gazza segue tutti i tuoi movimenti: la tua entrata in scena, la sistemazione sul tavolo del giardino di tutto il necessaire per il tutorial. Tu non lo sai, ma non sei la sola ad andare pazza per il glitter.

No, questo lo sapevi già. Chi è la pazza che non va pazza per il glitter? Sei pronta. No, cerchi lo specchio. Trovato? Sei bellissima anche senza trucco. Ti faresti subito un selfie, ma non ora, devi dare priorità alle priorità. Questa cosa l’hai imparata da tempo, sei una professionista. Il tuo è il mestiere più bello del mondo. Ami la tua vita. Un raggio di sole si riflette sullo specchietto e la gazza ha un sussulto. Combatte con l’istinto di agire. È una ladra. Anche lei è una professionista e sa sempre cosa deve fare, col tempo ha imparato ad aspettare e a controllare i suoi impulsi. È diventata brava, come te. Avete molte cose in comune. Anche lei odia fallire. Ma tutto questo tu non lo sai e in tutta franchezza non t’importerebbe neanche saperlo. Priorità alle priorità. Posizioni la webcam dell’iPad, apri la nuova glitter palette…  c’è un’esplosione di luce. La gazza ha più di un semplice sussulto. Difficile resistere alla tentazione, ma lei è brava. È una ladra professionista.

Dai, si gira! Un bel respiro e… azione.

Parti con i saluti, ma senza troppi convenevoli, sennò ci si annoia. Mostri la nuova palette e fai vedere bene gli swatches sul braccio: sono brillantissimi. La lingua sciolta, i gesti da esperta make-up artist e non perdi mai il sorriso. Un tocco di gloss glitterato e hai finito, dopo ti occuperai dell’editing. Sei soddisfatta. Ottima recensione, tutorial perfetto. Sei una dea. Ti alzi, cerchi la luce e guardi l’effetto del make-up allo specchio. Sei fantastica. Anche la gazza lo sa.

Gazza

Non ti resta che riporre tutto, magari dopo torni in giardino a prendere il sole. Chissà? Hai fatto un ottimo lavoro e ti meriti un po’ di riposo. Al momento non hai ancora deciso cosa fare? Ci penserai dopo. Torni al tavolo, senti il battere d’ali alle tue spalle e istintivamente ti giri. Lei è velocissima, molto più veloce di te, non riesci a proteggerti il viso e gridi in modo disumano. Lei soddisfatta si allontana con il suo tesoro, lo tiene ben saldo nel becco. Tu continui a gridare e a disperarti, lei ha finalmente preso ciò che voleva. Il tuo occhio è glitter and very glamour e di sicuro abbellirà il suo nido. Ha vinto e le tue grida non sono che dolce musica per le sue orecchie.

#ioraccontolungo nr 1: il romanzo aperto e partecipato. I primi contributi

 

giraffa

Ci siete? Ecco il primo contributo che porta avanti, in maniera originale , la storia tra LOGAN, SPYGIRL e BOMBSHELL. Con Laura Del Veneziano, aspettiamo altri contributi come questo!!! (se vi ricordate già la storia, basta che andiate all’ultimo paragrafo e troverete anche il nome dell’autore).

Giorno uno
Sono Logan, ed ero un uomo. Ora mi sento più un bozzolo in evoluzione verso non so che cosa, vivo come dentro ad un proiettile sparato dalla canna di un fucile e ho paura del mondo. La mia unica amica è Spygirl ma amo Bombshell. Pago Spygirl per essermi amica, pagavo Bombhell per dormire con me ma ora non più. Bombshell ora è lontana, bloccata in un’altra città che una volta era anche la mia. Anche Spygirl è lontana, ma meno. Questa sarà la prima pagina del mio diario. Il mio diario lo scriverò su un rotolo di carta, di quelli da disegno, per due buone ragioni. Primo perché me il mio diario me lo sono sempre immaginato così, secondo perché avere paura del mondo significa grossomodo soffrire di tutte le fobie esistenti messe insieme oppure di nessuna e così mi illudo che questo grosso e rassicurante rotolo sia infinito tanto quanto il tempo che mi ci vorrà a capire. La terza delle due buone ragioni è che me lo ha chiesto proprio Spygirl nella nostra ultima seduta. E a lei non so dire di no come invece dico spesso a Bombshell. Quando Spygirl mi chiede qualcosa avverto uno spasmo freddo qui, alla bocca dello stomaco. Ora Spygirl dice che questo rotolo può servire a specchiarmi di nuovo la mattina, ma riconoscendo l’immagine. In questi mesi di arresti domiciliari forzati ho solo nutrito lo stomaco, chiuso la mente e coltivato paure. Qualcuno ha lavorato per me, qualcuno ha pulito per me le strade di questa città che non conosco, lucidato la scrivania del mio ufficio, pagato le bollette, fatto la spesa. Non io. Ricordo una frazione insignificante del tempo trascorso a casa in questi mesi. Se monto le immagini mentalmente mi trovo davanti quasi solo una serie stroboscopica di albe e tramonti intervallate dal cigolio della porta del frigo che si apre e dal coperchio tazza del cesso che si chiude. Il resto si è perso, e non c’è più niente di continuo nella mia vita, ma un orizzonte latteo e poroso, e solo intermittenze e curve cieche sul mio cammino. Un uomo sceglie una casa come ogni nave prima o poi sceglie un porto. C’è un’anima da mettere all’ancora, un corpo da mettere al riparo. Io non mi ricordo nemmeno più esattamente perchè un anno fa ho scelto questa casa, e comunque ora non vi trovo pace. È come avere un vestito di due taglie più stretto. Non vale la pena neanche di farlo allargare. E Spygirl complice il lockdown nel frattempo mi ha anche cacciato dal nostro rifugio. Il suo bello studio accogliente che profumava di pelle. Un po’ quella delle sedie e del lettino, un po’ la sua.  Così oggi ho protestato.
Spygirl a Logan: Vede, lei non mi ha detto niente di strano. Una delle cose che più spesso mi è capitato di sentirmi dire in anni di professione è stato che entrare-  fisicamente nella stanza dell’analisi al mio studio è come entrare in un mondo parallelo, diverso. Le confesso volentieri un piccolo tratto personale: In effetti io conservo lo stesso ricordo della stanza della mia analisi. Così quando dopo qualche tempo dalla fine del mio percorso sono tornata a trovare il mio analista, che nel frattempo aveva trasferito lo studio, mi sono sentita strana, fuori posto ed ho sentito che la mia analisi personale, ormai conclusa, era in effetti al tempo stesso custodita nello studio precedente e gelosamente conservata dentro di me. Oggi dobbiamo accontentarci, capisce?  Ci aspetta un compito in più in questa assurda situazione di chiusura, un altro compito: dobbiamo trovare, pensare un secondo spazio che le permetta di continuare a lavorare con sè stesso, uno spazio diverso, non fisico, che in fin de conti, forse non può nemmeno preoccuparci troppo perché si tratta solo di uno spazio parallelo, temporaneo, il suo spazio interno. Spygirl mi dà del Lei, si irrigidisce che provo a darle del tu. Dice che io posso scegliere come rivolgermi a lei ma che continuerà a darmi del “lei” fintanto che non sentirà una necessità diversa. Sembra quasi me ne faccia una colpa ed ho impressione che voglia dirmi tra le righe che dare del “tu” attenua le sue capacità è come mettere la sordina a una tromba. Beh, e che c’è di male, a me piace Miles Davis.

Giorno due
Logan a Bombshell: Ti ho odiato perché hai riso dei miei peccati, ti ho amato perché mi hai aiutato a commetterne infiniti altri.  Poi, un giorno la corrente si è invertita, ed è diventato precisamente l’opposto. Sorprendentemente, ci andava bene a tutti e due così. Tutto è possibile in fondo, stasera al tramonto la luna piena si è ingoiata una striminzita falce di sole. Subito dopo, qualche mese fa, ci hanno tolto lo spazio come si tira via l’aria da un sacchetto. E in quel sacchetto non c’è più tempo, non c’è più aria né gravità.  E sono triste, impaurito, disperato perché io sono il messaggio e tu la bottiglia. O forse il contrario, in fondo non cambia. Non possiamo chiedere aiuto che insieme, ma non possiamo farlo insieme perché siamo dispersi su due isole diverse. Ho pensato spesso che la tua faccia fosse uno specchio. Ho pensato che la tua mano fosse un cavallo veloce. Ho pensato che le tue braccia fossero una giostra per il mio corpo. Sono preda delle mie paure adesso. Posso sentirti, qualunque cosa ciò voglia davvero dire.
Penso che la solitudine sia una specie perversa di cecità. Non vedi che parti di te stesso, ma non vedi te stesso. E i sensi si amplificano tanto da far male. L’udito soprattutto. Un po’ l’olfatto. Tutto quello che hai lasciato in questo appartamento non profuma più, marcisce. Fiori, maglioni, frutta. Solo il gusto è diminuito. Non mangio più, prevalentemente bevo. Non dormo più, prevalentemente bevo. Provo ad alzarmi, mi affaccio alla finestra. C’è una fila ordinata di persone che cammina sul bordo del fiume e file più piccole fuori ai negozi. Il mondo è diventato un terrario. La mia vicina di pianerottolo è una formica rossa e grassa, è vorace. Compra, stipa la casa, produce spazzatura che pressa e getta con passo lento. Ho pensato che la tua pelle fosse una vela. Se la carezzavi, si tendeva. La carezza è un pettine per l’anima. Dopo è bella liscia e lucente.  Belli anche i tuoi massaggi, ora li vorrei, ma mi mancano più le carezze. La carezza sta al massaggio come un vino bianco fermo sta a un rosso corposo. Non si può iniziare con un rosso.  Se apro il pc, va tutto male. Il mondo dentro il pc è un acquario. Ieri ha chiamato il mio capo. Il mio capo è un grosso pesce rosso.  Non intelligente, ma in compenso con la bocca sempre aperta. Mi ha detto che il lavoro che avevo mandato era soddisfacente. Mi manchi. Forse ti amo. L.
Bombshell a Logan: Io non ho mai riso dei tuoi peccati e nemmeno ne ho commessi altri con te. Ogni uomo è un po’ acqua e un po’ sale: oltre un certo limite non si può aggiungere altro sale, perché l’acqua non lo riceverebbe e il sale non si scioglierebbe più. E così io non ho aggiunto nessun peccato alle tue maledizioni.  Anche io ho pensato che la tua mano fosse un cavallo veloce, poi che fosse un aereo con un grande amo attaccato capace di pescarmi via da questo brutto orizzonte. Io non mi sento dentro ad un acquario o ad un terrario. Almeno là dentro ci sarebbe vita. Io mi sento dentro ad una di quelle palle di vetro con la neve di plastica.  Ti amo pressappoco lo stesso. B.

Giorno tre
Oggi ho chiamato Spygirl. Spygirl è un pesce particolare, una carpa koi. Non mi so spiegare perché la immagino così, non lo saprei proprio dire. La immagino nuotare placida nel suo studio, ora che non ci viene nessuno. Odio quando cambia quello sfondo del pc e lo fa ogni volta. E poi quando muove il braccio destro, il suo corpo si deforma. Se invece muove il sinistro, quello addirittura sparisce. Questa volta il suo braccio sinistro pavesato a festa e carico di vistosi bracciali spariva inspiegabilmente inabissandosi dritto dritto come un galeone spagnolo nell’acqua cristallina davanti ai Faraglioni di Capri. Doveminchiaèlamiastanza doveèlamiastanza doveèlamiastanza ilmiolettinolihaivendutimessiinsoffitta cazzodimmiqualcosaperfavore. Vorrei dirle. E invece dico buongiorno. Poi le ho raccontato un sogno, senza fermarmi. Una storia in un singolo lungo sorso.
Logan a Spygirl. Il sogno è questo. Potremmo dire che all’inizio il sogno sono quasi solo io. Io nel sogno sono vecchio e le tre canne di bambù sono ancora al loro posto. Appoggiate alla porta della rimessa. Anni fa erano la spina dorsale di magnifiche orchidee. Adesso sono solo canne coperte di muffa. In giardino c’è come odore di rinchiuso; c’è un’erba alta e vuota, gialla, ispida e secca come i miei tappeti: ha messo in ombra e soffocato il prato. Quell’erba è dello stesso colore del sole, che martella sulle tempie come un vino di poco prezzo, e soffrigge nelle orecchie assieme al sangue che, nonostante tutto, tenta di scorrere. Inchiodato Ad una sedia vedo le ombre infrangersi come onde sulla battigia di pietra serena della soglia. Quelle del giardino sono sempre più grandi ed invadenti, segno evidente delle molte piante che ho lasciato incolte. Quelle della casa non le conto più, tanto sono onnipresenti, rabbiose, invadenti. Quando si è vecchi si accendono sempre meno luci in casa. Così, con le tende tirate, nei giorni peggiori l’alba si confonde con il tramonto. Leggo, ascolto musica, parlo di me con me stesso. Nel parco ci sono molti alberi secchi, malati. E poi ci sono tre alberi danzanti, all’apparenza perfettamente sani uno accanto all’altro, che la malattia nella sua conta ha saltato. Adesso ondeggiano pericolosamente, perché sotto l’azione del vento non possono più appoggiarsi alle fronde dei loro vicini. Le tre canne di bambù non sono più al loro posto.  Vi è un giovane che le taglia con una lama affilata, di quelle così acuminate che scintillano. Le netta con uno straccio, le taglia in pezzi più piccoli con la massima cura. Poi le pulisce dal di dentro e vi pratica dei fori. Soppesa il lavoro fatto, sembra scegliere il pezzo migliore. Vi pratica un invito per le labbra e si mette a suonare. Mi guarda un po’ sorpreso come se dovessi conoscere tanto quel viso che quella nenia. Poi mi sorride senza pretese come se osservasse un bambino e mi accarezza il volto con una mano profumata. Gli chiedo di tagliarmi la gola di netto proprio mentre tramonta il sole e sale l’aria fresca della notte. Lo fa in silenzio, sento la sua mano sinistra sui miei occhi le sue labbra sulla mia fronte, il freddo pizzico della lama che mi sbarra il respiro.
Spygirl a Logan: Quando ha detto di aver fatto questo sogno? Che ne penserebbe se le dicessi che ho impressione che sia piuttosto un pensiero a metà tra sogno e veglia?
Logan a Spygirl: Si, è vero non l’ho sognato, non è un sogno. Ma vorrei che lo fosse
Spygirl a Logan: È comprensibile, saprebbe dirmi perché?
Logan a Spygirl: No, Non posso dirglielo. Perché in realtà c’è un altro sogno. Riguarda Bombshell
Spygirl a Logan: Il sogno che non vuole dirmi riguarda Bombshell?
Logan a Spygirl: Si. Quello che non voglio raccontarle, quello vero.
Spygirl a Logan: Ogni racconto che lei mi porta è comunque parte di lei e quindi è importante lavorarci, ecco perché non importa se non vuole raccontarmi il sogno su Bombshell. Le farò comunque una domanda sul suo racconto.
Logan a Spygirl: Cosa…
Spygirl a Logan: Chi è quel giovane che le taglia la gola?

*****

Giorno tre, notte (di Romeo Lucchi)
Non sono una star. Non sono al Roxy bar e non sto bevendo whisky, ma il fondo di una bottiglia di sambuca in un bicchiere di plastica, stropicciato e per giunta sporco di vino. Quando ero giovane c’ero stato al Roxy bar e non era come mi aspettavo. Il locale era piccolo. Entravi e c’era il bancone che prendeva tutto il lato sinistro. Niente tavolini. Questo è quanto ricordo, ma si sa i ricordi ingannano. Come la vita. All’inizio è piena di aspettative e a mano a mano che passa il tempo ti accorgi che riesci a collezionare solo fallimenti e di delusione in delusione ti convinci che nulla ha un senso. Ho cominciato a stilare un elenco delle fobie che ho coltivato in questi mesi. Forse lo farò avere alla carpa. Ci devo ancora riflettere. Per il momento mi piace riportare gli ultimi acquisti fatti su questa pagina. Paura di essere sporco. Non solo in senso fisico. Paura degli specchi, paura dei missili e delle pallottole. Di questo ne parlerò sicuramente a Spygirl perché temo che la forma fallica degli oggetti in questione potrebbe suggerire un disturbo più profondo di carattere sessuale. Paura della gravità. Non solo terrestre. Paura del silenzio, paura del rumore, paura di guardare in alto, paura dei numeri, paura dei polli, dell’aglio e delle amnesie… paura di perdere Bombshell. Ho sete. Voglio versare altra sambuca, ma è finita. Anche la canzone alla radio è finita. Il vuoto è enorme, voglio reagire, ma non ne ho voglia. Anche di questo voglio parlarne con la carpa.

Continua… scegli tu come, scrivi a redazione@toscanalibri.it e/o bellmaxi@tin.it

Sex Tree

Romeo Lucchi al suo meglio in questo curioso racconto inedito!

sex tree

Torno indietro di qualche pagina e do un’altra sbirciatina ai Sex Trees.  Il catalogo ha un vasto assortimento di articoli, ce n’è per tutti i gusti e per tutte le tasche. La pubblicità a inizio pagina dice: TU CHE AMI LA NATURA PER SENTIRTI DENTRO LA NATURA. I prezzi degli alberi gonfiabili di ultima generazione sono inavvicinabili. Leggo le caratteristiche del Tandem. Per lui e per lei.

Si può scegliere tra ciliegio, tiglio, pesco oppure su richiesta – leggo testualmente – soddisfiamo ogni tuo desiderio. Tre versioni: mini, medium e maxi.

Tronco anatomico, corteccia vellutata, rami variabili in altezza e lunghezza. Funzione scossa tellurica a tre velocità con durata programmabile. La tana dello scoiattolo in morbido lattice envelopingSkin® che per dieci anni garantisce al suo interno la temperatura costante di 37 gradi centigradi e mezzo. Guardo il costo e rimango di ghiaccio. Sfoglio velocemente le pagine che seguono e salto alla sezione Arredo terrazzo. Mi devo concentrare su ciò che mi serve: un prato sintetico srotolabile. Il più economico costa 10 euro al metro quadro. Faccio il conto: due metri per un metro e cinquanta sono tre metri quadri e quindi 30 euro. Opto poi per una pianta di limone – da lontano sembra quasi vera – costa solo 29 euro e novanta. In tutto con le spese di spedizione fanno 62 euro e sessanta. Controllo se ho un buono. Niente, peccato. Ripenso a La tana dello scoiattoloFaccio l’ordine e aspetto il drone per la consegna.

 

#ioraccontobreve numero speciale 9

Ebbenesì, ebbenesì a volte ritornano.

#ioraccontobreve fa (eccezionalmente) nove. Per molti singolari motivi che meritano tutti di essere raccontati. I motivi sono un problema informatico, un altro problema informatico più grave e un dinosauro.

Insomma dai, microraccontiamolo:

Ricevette un bel racconto e lo selezionò per la settimana a venire. Lo mise nella cartella dei pubblicabili, già bello che pronto. Ma venne un virus informatico che scombinò le cartelle e un po’ anche il suo stato mentale, e il racconto finì tra le sue fatture. Il racconto non ci stava male, tra tutti quei numeri, ma era perplesso. Alla fiera informatica dell’est, per due soldi, comprò un nuovo pc. Ma venne la notte e arrivò un bastimento di mail arretrate, cariche di nuovi pezzi e racconti. Due, un racconto e un articolo, erano era assai belli e finirono nella cartella dei pubblicabili. L’articolo parlava di un dinosauro. Ma venne la fetida tempesta che il computer di nuovo stonò. Il raccontino questa volta finì tra i file temporanei e lì si stava proprio male, sospesi come in un limbo di insicurezza sul proprio destino. Ma venne l’angelo del pc che i due files spersi finalmente trovò. Quando ritornarono nella loro cartella, l’articolo sul dinosauro era ancora lì….

Il racconto finito tra le mie fatture è quello di Simona Trevisi, anima di Toscanalibri.it e di tutte le sue attività online. Se siete stati pubblicati lì, lei vi ha letto di sicuro e altrettanto di sicuro lo dovete a lei. Mi scuso con lei quindi, doppiamente.  Giornalista, nata a Bergamo, è laureata in Scienze della Comunicazione. Dal 2005 collabora con la società Primamedia per conto della quale gestisce le attività e gli eventi curati da Toscanalibri.it. Qualcosina in più sulla sua biografia poi, mi sa che la potete immaginare leggendo il suo racconto…

MORFEO IN SMARTWORKING

morfeo

Finalmente era scivolato tra le braccia di Morfeo. Ci erano volute due ore di canti sussurrati, pacche sul sedere a ritmo di rumba, carezze amorevoli e storie raccontate a mezza voce. Riuscì a staccarsi dalla morsa del figlio dormiente e si mise in posizione supina. Con una mossa degna di un ninja tese le gambe fuori dal letto, poggiò i piedi a terra e lentamente si tirò su trattenendo il respiro, attenta a non compiere passi falsi. Con la testa era già in postazione davanti al computer, ma il suo ginocchio ebbe l’ardire di scricchiolare. Il rumore ruppe il silenzio in cui era immersa la stanza. Atterrita si girò verso il bambino che, subito desto, sbarrò gli occhi e cominciò a mugolare tendendo le braccia. L’impossibilità di praticare lo smartworking in solitaria era sempre più lampante.

Romeo Lucchi invece, non nuovo a questi lidi, è l’autore del racconto (quello svaporatomi davanti agli occhi durante un temporale qualche sera fa) e del pezzo che segue. Il racconto è di effetto, e non c’è affatto bisogno di commentarlo, se non forse di aggiungere una osservazione che mi viene spontanea, visto che lui è attore e si occupa di teatro e io in questo momento sto recensendo un libro su Sordi. Non so se lui sarà d’accordo, ma troverà certo il modo di dirmelo. C’è infatti una cosa che unisce un attore in gamba e uno scrittore altrettanto valente, ovvero il saper maneggiare i registri comici e tragici con la stessa efficacia. Leggete su questo sito i suoi La tazza del vate o Volare e poi questa storia e mi direte…

DUE DOMANDE

Catturfiore su tomba

Perché si muore? chiese il bambino al vecchio. Il vecchio spostò lo sguardo sulla tomba della moglie. Il bambino attese con gli occhi spalancati come se la risposta dovesse passare da lì. Il vecchio si piegò sulla tomba, prese il vasetto con i fiori appassiti e li gettò nel bidone vicino, andò alla fontana e mise l’acqua nel vaso dove sistemò un mazzetto di aster viola. Ripose il vaso sulla tomba e accarezzò la testa del piccolo. Perché si nasce se poi si deve morire? chiese il bambino. Il vecchio lo prese per mano e insieme si allontanarono senza risposte.

  E veniamo all’articolo, sempre dello medesimo Lucchi. La storia è nota, ed è quella dell’autore guatemalteco Augusto Monterroso, autore del microracconto cosiddetto più breve della storia Al suo risveglio, il dinosauro era ancora lì. (A.Monterroso). Ma non è questo il suo punto.

dinosauro

Persino Umberto Eco, oltre a Calvino, ci si è confrontato. La traduzione italiana sopra è per l’appunto sua, di Eco. Cuando despertò, el dinosaurio todavìa estaba allì. recita la storiella in lingua originale. E qui casca l’asino, anzi, il dinosauro. È proprio necessario fare dotte analisi di questo racconto ovvero stabilire se A) un tizio si sveglia improbabilmente accanto ad un dinosauro , B) un tizio sogna molto realisticamente un dinosauro o C) chi si sveglia è esso stesso un dinosauro? Romeo Lucchi ha ragione, proprio non lo è, non ci è assolutamente necessario per apprezzare e giocare con il racconto nel modo tanto caro a Calvino: come dice in un film il saggio Samurai tentando di spiegare l’arte della spada a un occidentale no mente, troppa mente.  Apriamo solo le porte all’immaginazione e godiamoci i microracconti. Che poi in ogni caso, ci facciamo influenzare tanto, inconsciamente, da un buon racconto che spesso ogni nostro sofisticato sforzo di interpretazione oggettiva di un testo naufraga comicamente proprio sul nascere…il nostro pregiudizio sarà sempre più forte. Volete una prova? Fate caso a come è tradotto in inglese su wikipedia (https://en.wikipedia.org/wiki/Augusto_Monterroso) il nostro racconto : When he awoke, the dinosaur was still there. Secondo voi, piazzando lì quel HE che idea della storia aveva in mente il traduttore? A), B) o C)?

LA POTENZA DELLA MICRONARRAZIONE

Al suo risveglio, il dinosauro era ancora lì. (A.Monterroso)

È potente la micronarrazione. Una sola frase apre la porta dell’immaginario.

Lasciamo da parte le incongruenze storico scientifiche e proviamo a immaginare la scena insieme.

Vediamo il cacciatore che diventa preda. Riesce a trovare rifugio in una caverna, passa una notte quasi insonne e finalmente dopo un breve riposo, al suo risveglio, vede il peggior incubo della sua breve vita fermo ad aspettarlo fuori dalla caverna. Ancora.Oppure potremmo dare un taglio più contemporaneo alla storia e immaginarci la mattina dopo una folle notte di eccessi (lascio alla fantasia del singolo stilare l’elenco delle sostanze psicotrope assunte nel corso della notte).

Risveglio.

Primo pensiero: mioddio sto ancora come i pazzi!

Secondo pensiero: quest’acido non mi lascia più!

Del racconto Il dinosauro Calvino diceva: “Io vorrei mettere insieme una collezione di racconti di una sola frase, di una sola riga. Ma finora non ho trovato nessuno che superi quello del guatemalteco Augusto Monterroso”.

La partita

In letteratura quanti confronti tra personaggi sono basati su rituali non scritti ma reiterati all’infinito, quanti dialoghi, quanti incontri sono assimilabili a una partita?

Non sembrano sfuggire a questa logica i personaggi di questa storia, per cui ringraziamo Romeo Lucchi, già su queste pagine per #ioraccontobreve nr 8 e nr 7e per una insolita rilettura di Volare.

La partita

Ogni sera mi raccontava la stessa storia.

Rientravo a casa dopo una dura giornata di lavoro, cenavamo e poi lui mi raccontava la stessa storia. Tutti i giorni. Prima però dovevamo giocare la nostra partita.

«Lo sai Jack…» diceva restando in attesa. Mi chiamava Jack perché amava dare un tocco di internazionalità ai nostri nomi.

«Cosa Frank?» gli chiedevo. Era come giocare una partita a tennis: scambi di palla veloci, e tanta fatica.

«Molti anni fa quando ero giovane» continuava lui «ho fatto un viaggio. E sai dove sono andato Jack?»

poker

«E dove sei andato Frank?» non potevo non chiederglielo, se non lo avessi fatto lui avrebbe continuato all’infinito. Una sera avevo provato a non giocare, lui era diventato sempre più insistente e poi siamo arrivati alle mani. Era una furia. Non avevo scampo: dovevo giocare la mia partita. Non spettava a me decidere se farlo o no.

«Sono andato a Barcellona, in treno. Ero partito da Genova a mezzanotte. I miei amici mi avevano accompagnato in stazione, e c’era anche lei. Sei mai stato a Barcellona Jack?»

«No Frank. Mai.»

«È una bella città. Ci devi andare. Lo farai Jack?»

«Lo farò Frank.»

«Promettilo.»

«Te lo prometto.»

A quel punto, dopo avermi estorto la promessa, la nostra partita era giunta al termine e io ascoltavo la sua storia. Nel nostro gioco non c’erano né vinti né vincitori, si giocava e basta.

«Avevo appena conosciuto Lory» diceva «e fino all’ultimo ero indeciso se partire o no. Mi piaceva molto quella ragazza, ma non volevo rinunciare al mio viaggio in solitaria. Era la mia prima volta. Ormai avevo detto a tutti che sarei andato a Barcellona da solo e non potevo più tirarmi indietro, avrei perso la faccia. C’era anche Lory in stazione con gli altri. Ci salutammo come si fa tra amici, non volevo far vedere agli altri che ero pazzo di lei. Arrivai a Barcellona la mattina dopo. Non ricordo quanti treni cambiai, ma ricordo che l’ultimo era veramente scomodo, spartano, con i sedili di legno. Non riuscii a chiudere occhio e ascoltai musica tutta la notte col mio walkman. Avevo una tipa seduta di fronte molto più vecchia di me, truccatissima, sembrava una battona. A un certo punto tirò fuori la lingua e si leccò le labbra guardandomi dritto negli occhi, io li chiusi e feci finta di dormire. Girai per due giorni in città come uno zombie. Mi spostavo tutto il giorno in taxi e in metropolitana senza una meta. Non avevo pace e decisi di tornare. Mi fermai a dormire una notte a Nimes e rientrai a casa. Per prima cosa chiamai Lory. Mi prendeva in giro, diceva che invece di star via una settimana dopo due giorni ero tornato solo per lei, perché anch’io l’amavo. Due anni dopo ci siamo sposati. Siamo stati felici, ma poi lei se ne è andata».

nimes

Quello era il momento più doloroso. Frank cominciava a piangere e a nulla valevano i miei tentativi per consolarlo. Era straziante. A volte piangeva tutta la sera e spesso mi era capitato di sentirlo disperarsi anche la notte, quando ormai c’eravamo coricati da tempo.

Ci sono voluti mesi e tanta dedizione, ma un paio di settimane fa ho trovato Loredana, la Lory di Frank. All’inizio non voleva incontrarmi, ho insistito parecchio e sono riuscito a invitarla a pranzo. Siamo andati in un posto molto carino, cucina casalinga. Abbiamo parlato per tutto il tempo, ci siamo dilungati fino a tarda sera.

Tra meno di un’ora Lory sarà qui, con Frank… chissà, magari per sempre.

 

#ioraccontobreve8. Ultima puntata (per ora)

Come si scrive un commiato in 100 parole?

Meglio usarne una sola, ma bella grossa: GRAZIE!!!

Ciao

Questa per ora è l’ultima puntata di #ioraccontobreve, la nostra fortunatissima iniziativa che ci ha permesso di fare la piacevole conoscenza di un sacco di persone e autori.

Però, prima di chiudere in bellezza, fatemi ringraziare Francesco Ricci, Riccardo Boccardi e Stefano Scanu per la loro diponibilità e cortesia (oltre al talento, ma questo lo sanno benissimo senza che glielo diciamo noi). Per parte mia, debbo ringraziare Simona Trevisi e Luigi Oliveto di Toscanalibri per averci creduto e per aver reso possibile la cosa.

Però però, prima di chiudere in bellezza fateci dire che siamo degli incoerenti di prima categoria: sì perché dopo aver sostenuto che raccontare breve fosse tutto, adesso dalla settimana prossima facciamo una inversione a U di proporzioni marziane e diciamo #ioraccontolungo o anche #questalaraccontiamoinsieme. O anche #lastaffettaletteraria.  (no, non stiamo seriamente bandendo un concorso per scegliere il nome di un concorso).

E sarà sfidante, molto sfidante perché abbiamo scritto a quattro mani con Laura del Veneziano un incipit (più di un incipit in verità) di una storia che vi chiediamo, con non più di una cartella A4 (alla volta se volete…) di portare nella direzione che vorrete voi! Cambiatele i connotati, assecondatela, stravolgetela, complicatela! Un romanzo aperto? Una specie. Un’opera aperta? Forse. Del resto lo sapete, no? È raccontare lungo che è la cosa di gran lunga più difficile. Noi lo abbiamo sempre detto.

Mandate tutto (appena vedrete pubblicato l’incipit) al solito indirizzo mail, ovvero bellmaxi@tin.it

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I tre racconti di questa settimana non sono particolarmente legati tra loro, lo ammettiamo. Ma uno ci ha colpito dati anche i fatti di cronaca di questi giorni. Vedere i giovani in piazza, organizzati per una vera manifestazione, credo la più autentica degli ultimi anni, ha attirato l’attenzione e il sostegno di molti.  Era da tempo, comunque la si voglia pensare al riguardo, che gente di 14-15-16 anni non veniva colpita a tal punto da un fatto di cronaca da prendere e manifestare. Alludiamo ai fatti di Minneapolis. Alludiamo a Kevin Tushe, studente liceale, che già ha partecipato due volte con successo a questa rassegna. Si vede la passione in quello che scrive.

floyd

SOGGIOGAMENTO

Il suo sguardo livido incrocia il mio, il suo respiro si fa sempre più affannato, man mano che il suo petto affonda sotto la pressione esercitata dall’agente, la stessa che mi opprime mentre rimango impassibile innanzi a tale orrore. Al collo quel giogo che lo umilia da secoli, le catene che cingono invisibili le sue membra, come un fardello che la vita gli ha arbitrariamente imposto. Perché America? Perché hai fatto credere che non valgono nulla? Perché li hai trattati come se il sangue sparso, raffigurato in rosso vivo sul nostro stendardo, non sia anche il loro? L’aquila non dispiega più le sue ali all’orizzonte, ma scruta dall’alto del suo nido l’eterna lotta per l’uguaglianza 

Quante volte avremmo voluto che i protagonisti tormentati di un libro, rivoltandolo aperto a testa in giù e scuotendolo ben bene, scivolassero nel mondo reale per godersi un po’ di tranquillità, un meritato riposo? Ma non è mica così semplice passare da una dimensione all’altra…anche per una ‘fuitina’ letteraria.

FUGA D’AMORE

Aspettarono di essere vicini l’una all’altro. Volevano cambiare il loro destino, fuggire e chiudere per sempre con le famiglie che si opponevano al loro amore. Si presero per mano e si aggrapparono a un punto di domanda, saltarono da un trattino all’altro, scivolarono su una virgola, aprirono una parentesi, si diedero un bacio, chiusero la parentesi. Proseguirono la loro fuga riga dopo riga verso la fine della pagina. Quando fecero l’ultimo salto non si voltarono. Fuori dalle pagine del libro però i loro corpi non avevano forma, non potevano esistere, cominciarono a svanire perché il loro era un amore impossibile.

  usciti da un libro

E poi a volte si perdono le parole, e non solo per amore…perché sopra non abbiamo riportato,l’autore? Perché è lo stesso del prossimo racconto, ovvero l’autore e attore Romeo Lucchi (che ringraziamo per il suo generoso apporto che vedrete anche nei prossimi giorni…’la tazza del Vate’ comunque ce la ricorderemo per un bel pezzo! https://massimilianobellavista.wordpress.com/2020/06/12/volare/ )

L’UOMO CHE NON SI CAPIVA

non ti capisco

Quando parlava era un disastro. Ometteva sempre il soggetto della frase, dimenticava pezzi della storia – più o meno lunghi – coniugava male i verbi e, cosa ancora più insopportabile, era un continuo ripetere e intercalare di mhmm…, eh…, cioè… In giugno prese parte a una rapina. Fu l’unico della banda a farsi pinzare. In commissariato gli chiesero di vuotare il sacco. Lui cominciò a parlare, ma non si capiva niente di quello che diceva. Credettero che volesse fare lo spiritoso e lo pestarono. Lo torchiarono per ore. Lui era sempre più criptico. Un duro, pensarono i poliziotti. E giù altre botte

Volare…?

Dopo averci fatto sorridere con l’incauto acquisto de La Tazza del Vate per #ioraccontobreve  solo due giorni fa, Romeo Lucchi  qui si è fatto decisamente più caustico, e si è preso, giustamente, tutte per se 250 parole invece che 100.

Sulla celeberrima canzone di Modugno gli aneddoti, anche quelli politici e persino di politica estera, si sprecano. Nei momenti di depressione in Italia si mette in discussione tutto, anche l’Inno nazionale, e pur di far le corna al povero Goffredo si oscilla dal  sostituto illustre tipo il Va pensiero verdiano al sostituto pop, ovvero Volare.

Volare

Questo aneddoto del 2029, però, ci mancava. E come poteva essere altrimenti. essendo nel futuro. Ci fa ridere? Sì, ma a denti stretti. Ci lascia un senso di disagio.  Non riusciamo a toglierci dalla testa che in fondo… oddio potrebbe anche succedere!!!!

 

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Volare

 

Spinse l’acceleratore sino in fondo e si lanciò nel vuoto.

Il monitor indicava la durata prevista della diretta streaming: 4 secondi e 521 millesimi.

Aveva precedentemente impostato la funzione regia automatica che prevedeva il montaggio del video da trasmettere in diretta sfruttando le due telecamere esterne e le quattro interne.

Per colonna sonora aveva scelto una vecchia canzone: Volare di Domenico Modugno. Calzante, pensò. Questa volta nessuno gli avrebbe rubato la scena, anche lui avrebbe avuto il suo minuto di gloria. Fanculo agli uragani, alle inondazioni, alle trombe marine e pure alle bombe d’acqua e all’alta marea. Fanculo alla fame, alla disoccupazione, alle migrazioni e alle guerre. Fanculo ai genocidi, fanculo a tutto e a tutti. Finalmente la scena era sua. Sfruttando l’App che aveva scaricato la sera prima aveva stimato almeno 500.000 spettatori connessi e quasi certamente il video avrebbe fatto il giro del mondo raccogliendo così milioni di visualizzazioni. Forse il suo sarebbe stato il video più visto al mondo. Di sempre. Primi like, trecento wow, commento: CHE FIGATA. 4500 like, 34 sigh, 866 wow, commenti: VAI COSI’, SEI UNA BOMBA! FIGO! SPAAACCAA!  8999 like, 1911 wow, 84 love, 50 sigh, 3842 wow, 112.543 like, commento: SIIIIII!  499.995 like, 88.912 commenti…

back future

Al momento dell’impatto al suolo apparve sul monitor la scritta “data odierna: 25 maggio 2029”.

Lo stesso giorno il Presidente degli Stati Uniti d’America George Clooney insieme al primo ministro Leonardo di Caprio si incontravano alla Casa Bianca con Rocco Siffredi, Presidente del Consiglio della Repubblica Italiana per discutere dei futuri scenari del Mediterraneo.