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10 autori per 10 temi. Oggi tocca a me

Grazie agli amici di Toscana Libri. Bello parlare di Toscana e letteratura da un taglio e un punto di vista un po’ insolito.

a questo si aggiunge anche il video dell’incontro su ‘ La guerra in città’

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Varie (relativamente) importanti

Barzhaz 1 è arrivato oggi al suo secondo appuntamento mentre il corso avanzato partirà come da programma il 10 Febbraio. E’ una formula interessante e vedo con piacere che sta crescendo.

Il premio Asimov sta arrivando alle sue fasi più vive e sta avendo (anche per quello che posso vedere con le scuole e gli incontri che facciamo in giro, purtroppo ancora a distanza) dei risultati di partecipazione eccezionali, nonostante la crisi, nonostante la pandemia, nonostante tutto, a testimonianza di come i giovani abbiano più di tutti la voglia e la capacità di reagire. Anche grazie ad iniziative come questa.

Recensio III sta continuando e a breve compariranno nuovi articoli su Sherwood/Parktime

Intanto il giorno 13 p.v. con Toscanalibri c’è un evento a cui tengo molto.

Le rose di Kathryn. Su Toscanalibri una mia recensione che è anche un racconto sul tempo.

Paolo Cesarini in un racconto a me particolarmente caro, La ragazza in Verde, narra con il suo bello stile che mescola ironia caustica, memoria minuziosa e tragicità una vicenda sospesa tra amore e Palio. Una storia d’amore nasce e finisce durante il Palio del ’33, e il racconto si conclude così: Fu l’ultimo Palio che godei da senese intero. Dopo ne ho visti molti altri, ma da senese all’estero, voglio dire fuori dal confine dell’antico Stato: che è una cosa diversa, intensa e incompleta, sempre un poco amara, con l’orario delle ferrovie che appare dietro al gioco delle bandiere. Quando ho letto d’un fiato Le rose di Kathryn di Luigi Oliveto, e non si tratta del solito trito cliché di circostanza (ho ‘profetizzato’ il successo che il libro sta avendo in tempi non sospetti!), mi è subito venuto in mente questo frammento. Sarà perché le Avventure ritrovate di Cesarini quasi quarant’anni dopo si potrebbero ben commentare come il libro di Luigi, che racchiude racconti che sottolineano il passare del tempo e tratteggiano la vita per induzione e mai per deduzione, avventure ordinarie che racchiudono sentimenti universali.

Sarà perché alla fine quel libretto del 1983 evocava magistralmente fatti e periodi storici in parte sovrapponibili, ma in larga parte precedenti e complementari a quelli ripercorsi nel volume di Oliveto, che invece ha, anche per ovvie ragioni anagrafiche, il suo fulcro temporale dagli anni Sessanta in poi. Sarà perché si tratta di storie che abbracciano tutta Italia, con uno sguardo e un’attenzione lessicale anche al dialetto (non toscano) da senese all’estero. Sarà perché l’amore, in tutte le sue forme, ma certamente l’archetipo femminile, talvolta ironico, talvolta malizioso, più spesso materno e insondabile gioca in questi racconti brevi un ruolo importante. Sarà per via delle ferrovie. Fateci caso, a Siena gli scrittori arrivano sempre a piedi, a cavallo o, come nel caso di un noto racconto dedicatole da Saramago, Terra di Siena bruciata, in macchina. Non si associa facilmente Siena coi treni, perché la ferrovia per come è disposta la città, sembra un corpo estraneo. Che ci sia tutti lo sanno, ma dove sia rimane un po’ vago, come la Diana, il fiume sotterraneo che la leggenda vuole scorra nelle viscere della città. Eppure o forse proprio per questo, quel racconto, Maso che sentiva i treni ti colpisce eccome. Maso il folle, Maso il pazzo con licenza di essere angelo e demone, è davvero uno dei ritratti più riusciti della raccolta. E Maso, rinchiuso all’ospedale psichiatrico di Siena, il San Niccolò, dall’età di otto anni è un personaggio che piacerebbe a Simone Cristicchi, un personaggio da conoscere. Maso sente il treno, ripete in continuazione oggi si sente il treno. Quel treno ha una valenza metaforica molteplice e potente: ve lo ricordate il Belluga de Il treno ha fischiato di Pirandello? Naturalmente, il primo giorno, aveva ecceduto. S’era ubriacato. Tutto il mondo, dentro d’un tratto: un cataclisma. A poco a poco, si sarebbe ricomposto. Era ancora ebro della troppa troppa aria, lo sentiva. Sarebbe andato, appena ricomposto del tutto, a chiedere scusa al capoufficio, e avrebbe ripreso come prima la sua computisteria. Soltanto il capoufficio ormai non doveva pretender troppo da lui come per il passato: doveva concedergli che di tanto in tanto, tra una partita e l’altra da registrare, egli facesse una capatina, sì, in Siberia… oppure oppure… nelle foreste del Congo: – Si fa in un attimo, signor Cavaliere mio. Ora che il treno ha fischiato… È così anche per Maso, il treno gli fischia in testa e un bel giorno se lo porterà anche via.

Tutti i personaggi di questa raccolta sono trascinati dal destino individuale e dalla storia, fuori dalla Guerra e dentro la pace. Ma anche la pace sa essere subdola, lo sanno bene Paoletto e Irma di Seconde nozze i quali sopravvissuti alla guerra, non sopravvissero alla pace. Poi si va oltre, si abbandona questi protagonisti morti sulla soglia del boom e se ne trovano altri per i quali cominciano i mali del benessere. Ci si può permettere di tutto, divorzi, tradimenti, depressione, eccessi finanziari. Con uno strano e costante retrogusto agrumato, amarognolo in bocca però: nella vita di questi personaggi non manca mai l’insolito, l’inspiegabile e anche il fantastico.  In L’orologio di Colzana, racconto notevole specialmente nella sua parte iniziale, dove una specie di bolla magnetica avvolgeva l’intero paese e tutti gli orologi si fermavano sembra che Buzzati si sia temporaneamente impadronito del libro. Lo stesso si potrebbe dire anche per Black Christmas che gira attorno alle dimissioni di un Babbo Natale sfiduciato nel genere umano. Ma tutti i protagonisti della raccolta vorrebbero alla fin fine fermare il tempo come Fausto Pavanti, se non altro per vederci chiaro nelle loro vite che perdono continuamente entusiasmo e ingenuità e invecchiano e diventano più ciniche e subdole esattamente come fa la beneamata Repubblica italica.

Lo si dice benissimo in un passo veramente notevole del libro ai piedi del faro non c’è luce. (…). Se non riusciamo a vedere la luce, non è detto che non ci sia e soprattutto non è detto che non ci riesca la nostra coscienza. E inoltre, ancora più importante, se si inizia la nostra esistenza nel buio, non è detto che non si possa terminarla in piena luce. I santi si sa, come diceva Giovanni Maria Vainney, non tutti hanno cominciato bene, ma tutti hanno finito bene.  Lo sa benissimo il Don Liborio di Santo subito, racconto veramente azzeccato anche dal punto di vista tecnico vista la vividezza delle immagini e delle descrizioni. Ma c’è anche chi nel buio rimane senza riuscire a frenare minimamente l’emorragia del tempo, ed è in questo senso molto forte e realistica l’atmosfera de Gli anni di piombo, anche per quella bellissima virata che Luigi ha saputo impartire alla narrazione, una strambata alle vele con vento forte, e perciò assai difficile, impressa dopo appena un paio di pagine a una storia che parte un po’ alla De Sica di Matrimonio all’italiana, con le prodezze erotiche e le acrobazie (bi) familiari dell’Onorevole Ciro Imbiancato per poi incattivirsi fino all’estremo. In quella vicenda, le colpe dei padri ricadono sui figli, anche quelli avuti fuori dal matrimonio, nel Delitto Perfetto apparentemente, parrebbe di no, ma siccome si tratta di una storia a tinte gialle, non va rivelato il finale. Va detto solo che merita di essere letta.

Un discorso a parte, a mio giudizio, merita Amore di lontano.  È un racconto veramente insolito, dove questo elogio dell’amore lontano alla Jaufré Rudel sconfina nel masochismo e un pochettino anche nella follia. La protagonista, Dolores, sopporta tutto il calvario di un divorzio in una famiglia ipertradizionalista in un piccolo paese ma, con il suo nuovo amore, tutto sommato le va bene così, vicini nel cuore ma distanti chilometri con ancora il treno, il maledetto treno, che torna nel mezzo. Ci sono dei passi del racconto, come l’incontro con la suora in treno, che valgono il libro. C’è in certi passi anche un uso del dialetto, milanese in questo caso brianzolo ne Un’ordinaria storia di provincia che ricorda l’Hans Tuzzi del ciclo del Commissario Melis.
Luigi, lo si percepisce da quasi ogni pagina di questo volume e lo sa bene chi collabora con lui o lo legge abitualmente su Toscanalibri.it, è un lettore attento, curioso, esigente, meticoloso. Non sfuggirà agli amanti della letteratura italiana del secondo novecento che il libro ne è animato e vitalizzato come nei casi più felici succede tra un film e la sua colonna sonora. Per esempio: accarezzò la schiena di Alessandro come un rendimento di grazie, si addormentò pure lei. Sul limitare di questo paradiso li ritrovò la luce novembrina del giorno. La Milano del sabato mattina poltriva ancora sotto piumoni e nebbia. Lui alle dieci aveva la prova in teatro… Se a Milano sostituite Venezia, quella città nebbiosa e indefinita descritta nel bellissimo racconto già citato, complice anche l’ambientazione ‘musicale’ della storia, ricorda da vicino il Berto di Anonimo Veneziano. Comunque l’amore o ciò che gli assomiglia cerca sempre di gettare un ponte, anche oltre la storia, anche oltre l’esistenza. Per tutte queste ragioni, ‘le poste di bilancio della vita’ cui Luigi Oliveto si riferisce nella poesia che costituisce il desinit del volume, saranno anche scombinate dal tempo ma la loro somma è sempre in attivo e produce un sicuro profitto per il lettore.

Quando scrivere era socialità: presento ‘Storie di amicizia e di scrittura’, il 18 Novembre a ‘I colori del libro off’.

Da domenica 15 novembre anche la Toscana è in lockdown, ma grazie ad iniziative come #icoloridellibrooff Toscanalibri continuerà a dare il suo contributo per far conoscere editori, autori e produzioni letterarie. Mercoledì 18 novembre alle ore 18.30 vi aspetta in diretta sulla pagina Facebook di Toscanalibri.it Francesco Ricci con “Storie d’amicizia e di scrittura” (primamedia editore), un saggio che indaga una stagione nella vita letteraria italiana nella quale i libri, soprattutto a Roma, nascevano anche attraverso un incessante confronto con colleghi e amici, in una circolarità d’esperienze e di vissuti in cui ciascuno scrittore molto dava e molto riceveva in relazione al “mestiere di scrivere”. Dialogherò con l’autore e sarà molto interessante, perchè il taglio del libro è davvero originale.


 
Il libroLa scrittura viene spesso associata all’idea di solitudine, raccoglimento, silenzio. È all’interno della sua stanza-tana-cella monastica, infatti, che il poeta solitamente compone i suoi versi e la stessa cosa può dirsi del romanziere, del drammaturgo, del critico. Il momento della “socialità”, di conseguenza, sembra per lo scrittore iniziare sempre dopo, quando l’opera, ormai conclusa e pubblicata, è presentata al pubblico, divenendo oggetto di discussione e di giudizio. C’è stata, però, una stagione nella vita letteraria italiana – il trentennio che grosso modo inizia con la conclusione della seconda guerra mondiale – nella quale i libri, soprattutto a Roma, nascevano anche attraverso un incessante confronto con colleghi e amici, negli uffici di una casa editrice, in una trattoria, in un caffè all’aperto, in un appartamento privato, dove, in una circolarità d’esperienze e di vissuti, ciascuno scrittore molto dava e molto riceveva in relazione al “mestiere di scrivere”. In Storie d’amicizia e di scrittura Francesco Ricci si sofferma su otto dei maggiori protagonisti di quegli anni, distribuiti in quattro coppie: Giacomo Debenedetti e Umberto Saba, Natalia Ginzburg ed Elsa Morante, Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini, Cesare Pavese e Fernanda Pivano. Con loro, pagina dopo pagina, come in un romanzo, anche altri personaggi si fanno incontro al lettore (Italo Calvino, Giulio Einaudi, Carlo Emilio Gadda, Cesare Garboli, Leone Ginzburg, Carlo Levi, Alberto Mondadori, Enzo Siciliano) consentendogli di tornare a respirare il clima, fatto di coralità e di collaborazione, di quella stagione ormai lontana.

Il Domino letterario fa 13

 

Gastone Nencini

Nuovo appuntamento con il nostro Domino Letterario, che per ora resta in ambito sportivo. Giancarlo Brocci, chiamato in causa la scorsa volta da Riccardo Lorenzetti, passa la palla a Giovanni Nencini e presenta il suo libro “Sulla cresta dell’onda. Gastone Nencini e quel 1960” (Sarnus), in cui restituisce il ritratto commovente del padre, vincitore del Tour de France nel 1960. Clicca qui per il video

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Il libro – Il 1960 è un anno fondamentale per il grande ciclista Gastone Nencini, che vince il Tour de France dopo aver sfiorato il trionfo al Giro d’Italia che perse per solo 28 secondi dopo aver duellato a lungo con Jacques Anquetil che si aggiudicò quell’edizione.. In un dialogo immaginario col giornalista Armand, il campione racconta sforzi, passioni, imprese, fortune e sfortune di quel Tour. Parallelamente è ricostruita la storia d’amore ‘clandestina’ tra Nencini e Maria Pia, ragazza fiorentina che poi riuscirà a sposare e che diverrà madre di suo figlio. Il libro restituisce un ritratto commovente del ciclista e dell’uomo, raccontandoci allo stesso tempo un’epoca che, con l’avvento degli sponsor, segnò il passaggio dal ciclismo “eroico” a quello moderno.

 

#ioraccontolungo nr 1: il romanzo aperto e partecipato. I primi contributi

 

giraffa

Ci siete? Ecco il primo contributo che porta avanti, in maniera originale , la storia tra LOGAN, SPYGIRL e BOMBSHELL. Con Laura Del Veneziano, aspettiamo altri contributi come questo!!! (se vi ricordate già la storia, basta che andiate all’ultimo paragrafo e troverete anche il nome dell’autore).

Giorno uno
Sono Logan, ed ero un uomo. Ora mi sento più un bozzolo in evoluzione verso non so che cosa, vivo come dentro ad un proiettile sparato dalla canna di un fucile e ho paura del mondo. La mia unica amica è Spygirl ma amo Bombshell. Pago Spygirl per essermi amica, pagavo Bombhell per dormire con me ma ora non più. Bombshell ora è lontana, bloccata in un’altra città che una volta era anche la mia. Anche Spygirl è lontana, ma meno. Questa sarà la prima pagina del mio diario. Il mio diario lo scriverò su un rotolo di carta, di quelli da disegno, per due buone ragioni. Primo perché me il mio diario me lo sono sempre immaginato così, secondo perché avere paura del mondo significa grossomodo soffrire di tutte le fobie esistenti messe insieme oppure di nessuna e così mi illudo che questo grosso e rassicurante rotolo sia infinito tanto quanto il tempo che mi ci vorrà a capire. La terza delle due buone ragioni è che me lo ha chiesto proprio Spygirl nella nostra ultima seduta. E a lei non so dire di no come invece dico spesso a Bombshell. Quando Spygirl mi chiede qualcosa avverto uno spasmo freddo qui, alla bocca dello stomaco. Ora Spygirl dice che questo rotolo può servire a specchiarmi di nuovo la mattina, ma riconoscendo l’immagine. In questi mesi di arresti domiciliari forzati ho solo nutrito lo stomaco, chiuso la mente e coltivato paure. Qualcuno ha lavorato per me, qualcuno ha pulito per me le strade di questa città che non conosco, lucidato la scrivania del mio ufficio, pagato le bollette, fatto la spesa. Non io. Ricordo una frazione insignificante del tempo trascorso a casa in questi mesi. Se monto le immagini mentalmente mi trovo davanti quasi solo una serie stroboscopica di albe e tramonti intervallate dal cigolio della porta del frigo che si apre e dal coperchio tazza del cesso che si chiude. Il resto si è perso, e non c’è più niente di continuo nella mia vita, ma un orizzonte latteo e poroso, e solo intermittenze e curve cieche sul mio cammino. Un uomo sceglie una casa come ogni nave prima o poi sceglie un porto. C’è un’anima da mettere all’ancora, un corpo da mettere al riparo. Io non mi ricordo nemmeno più esattamente perchè un anno fa ho scelto questa casa, e comunque ora non vi trovo pace. È come avere un vestito di due taglie più stretto. Non vale la pena neanche di farlo allargare. E Spygirl complice il lockdown nel frattempo mi ha anche cacciato dal nostro rifugio. Il suo bello studio accogliente che profumava di pelle. Un po’ quella delle sedie e del lettino, un po’ la sua.  Così oggi ho protestato.
Spygirl a Logan: Vede, lei non mi ha detto niente di strano. Una delle cose che più spesso mi è capitato di sentirmi dire in anni di professione è stato che entrare-  fisicamente nella stanza dell’analisi al mio studio è come entrare in un mondo parallelo, diverso. Le confesso volentieri un piccolo tratto personale: In effetti io conservo lo stesso ricordo della stanza della mia analisi. Così quando dopo qualche tempo dalla fine del mio percorso sono tornata a trovare il mio analista, che nel frattempo aveva trasferito lo studio, mi sono sentita strana, fuori posto ed ho sentito che la mia analisi personale, ormai conclusa, era in effetti al tempo stesso custodita nello studio precedente e gelosamente conservata dentro di me. Oggi dobbiamo accontentarci, capisce?  Ci aspetta un compito in più in questa assurda situazione di chiusura, un altro compito: dobbiamo trovare, pensare un secondo spazio che le permetta di continuare a lavorare con sè stesso, uno spazio diverso, non fisico, che in fin de conti, forse non può nemmeno preoccuparci troppo perché si tratta solo di uno spazio parallelo, temporaneo, il suo spazio interno. Spygirl mi dà del Lei, si irrigidisce che provo a darle del tu. Dice che io posso scegliere come rivolgermi a lei ma che continuerà a darmi del “lei” fintanto che non sentirà una necessità diversa. Sembra quasi me ne faccia una colpa ed ho impressione che voglia dirmi tra le righe che dare del “tu” attenua le sue capacità è come mettere la sordina a una tromba. Beh, e che c’è di male, a me piace Miles Davis.

Giorno due
Logan a Bombshell: Ti ho odiato perché hai riso dei miei peccati, ti ho amato perché mi hai aiutato a commetterne infiniti altri.  Poi, un giorno la corrente si è invertita, ed è diventato precisamente l’opposto. Sorprendentemente, ci andava bene a tutti e due così. Tutto è possibile in fondo, stasera al tramonto la luna piena si è ingoiata una striminzita falce di sole. Subito dopo, qualche mese fa, ci hanno tolto lo spazio come si tira via l’aria da un sacchetto. E in quel sacchetto non c’è più tempo, non c’è più aria né gravità.  E sono triste, impaurito, disperato perché io sono il messaggio e tu la bottiglia. O forse il contrario, in fondo non cambia. Non possiamo chiedere aiuto che insieme, ma non possiamo farlo insieme perché siamo dispersi su due isole diverse. Ho pensato spesso che la tua faccia fosse uno specchio. Ho pensato che la tua mano fosse un cavallo veloce. Ho pensato che le tue braccia fossero una giostra per il mio corpo. Sono preda delle mie paure adesso. Posso sentirti, qualunque cosa ciò voglia davvero dire.
Penso che la solitudine sia una specie perversa di cecità. Non vedi che parti di te stesso, ma non vedi te stesso. E i sensi si amplificano tanto da far male. L’udito soprattutto. Un po’ l’olfatto. Tutto quello che hai lasciato in questo appartamento non profuma più, marcisce. Fiori, maglioni, frutta. Solo il gusto è diminuito. Non mangio più, prevalentemente bevo. Non dormo più, prevalentemente bevo. Provo ad alzarmi, mi affaccio alla finestra. C’è una fila ordinata di persone che cammina sul bordo del fiume e file più piccole fuori ai negozi. Il mondo è diventato un terrario. La mia vicina di pianerottolo è una formica rossa e grassa, è vorace. Compra, stipa la casa, produce spazzatura che pressa e getta con passo lento. Ho pensato che la tua pelle fosse una vela. Se la carezzavi, si tendeva. La carezza è un pettine per l’anima. Dopo è bella liscia e lucente.  Belli anche i tuoi massaggi, ora li vorrei, ma mi mancano più le carezze. La carezza sta al massaggio come un vino bianco fermo sta a un rosso corposo. Non si può iniziare con un rosso.  Se apro il pc, va tutto male. Il mondo dentro il pc è un acquario. Ieri ha chiamato il mio capo. Il mio capo è un grosso pesce rosso.  Non intelligente, ma in compenso con la bocca sempre aperta. Mi ha detto che il lavoro che avevo mandato era soddisfacente. Mi manchi. Forse ti amo. L.
Bombshell a Logan: Io non ho mai riso dei tuoi peccati e nemmeno ne ho commessi altri con te. Ogni uomo è un po’ acqua e un po’ sale: oltre un certo limite non si può aggiungere altro sale, perché l’acqua non lo riceverebbe e il sale non si scioglierebbe più. E così io non ho aggiunto nessun peccato alle tue maledizioni.  Anche io ho pensato che la tua mano fosse un cavallo veloce, poi che fosse un aereo con un grande amo attaccato capace di pescarmi via da questo brutto orizzonte. Io non mi sento dentro ad un acquario o ad un terrario. Almeno là dentro ci sarebbe vita. Io mi sento dentro ad una di quelle palle di vetro con la neve di plastica.  Ti amo pressappoco lo stesso. B.

Giorno tre
Oggi ho chiamato Spygirl. Spygirl è un pesce particolare, una carpa koi. Non mi so spiegare perché la immagino così, non lo saprei proprio dire. La immagino nuotare placida nel suo studio, ora che non ci viene nessuno. Odio quando cambia quello sfondo del pc e lo fa ogni volta. E poi quando muove il braccio destro, il suo corpo si deforma. Se invece muove il sinistro, quello addirittura sparisce. Questa volta il suo braccio sinistro pavesato a festa e carico di vistosi bracciali spariva inspiegabilmente inabissandosi dritto dritto come un galeone spagnolo nell’acqua cristallina davanti ai Faraglioni di Capri. Doveminchiaèlamiastanza doveèlamiastanza doveèlamiastanza ilmiolettinolihaivendutimessiinsoffitta cazzodimmiqualcosaperfavore. Vorrei dirle. E invece dico buongiorno. Poi le ho raccontato un sogno, senza fermarmi. Una storia in un singolo lungo sorso.
Logan a Spygirl. Il sogno è questo. Potremmo dire che all’inizio il sogno sono quasi solo io. Io nel sogno sono vecchio e le tre canne di bambù sono ancora al loro posto. Appoggiate alla porta della rimessa. Anni fa erano la spina dorsale di magnifiche orchidee. Adesso sono solo canne coperte di muffa. In giardino c’è come odore di rinchiuso; c’è un’erba alta e vuota, gialla, ispida e secca come i miei tappeti: ha messo in ombra e soffocato il prato. Quell’erba è dello stesso colore del sole, che martella sulle tempie come un vino di poco prezzo, e soffrigge nelle orecchie assieme al sangue che, nonostante tutto, tenta di scorrere. Inchiodato Ad una sedia vedo le ombre infrangersi come onde sulla battigia di pietra serena della soglia. Quelle del giardino sono sempre più grandi ed invadenti, segno evidente delle molte piante che ho lasciato incolte. Quelle della casa non le conto più, tanto sono onnipresenti, rabbiose, invadenti. Quando si è vecchi si accendono sempre meno luci in casa. Così, con le tende tirate, nei giorni peggiori l’alba si confonde con il tramonto. Leggo, ascolto musica, parlo di me con me stesso. Nel parco ci sono molti alberi secchi, malati. E poi ci sono tre alberi danzanti, all’apparenza perfettamente sani uno accanto all’altro, che la malattia nella sua conta ha saltato. Adesso ondeggiano pericolosamente, perché sotto l’azione del vento non possono più appoggiarsi alle fronde dei loro vicini. Le tre canne di bambù non sono più al loro posto.  Vi è un giovane che le taglia con una lama affilata, di quelle così acuminate che scintillano. Le netta con uno straccio, le taglia in pezzi più piccoli con la massima cura. Poi le pulisce dal di dentro e vi pratica dei fori. Soppesa il lavoro fatto, sembra scegliere il pezzo migliore. Vi pratica un invito per le labbra e si mette a suonare. Mi guarda un po’ sorpreso come se dovessi conoscere tanto quel viso che quella nenia. Poi mi sorride senza pretese come se osservasse un bambino e mi accarezza il volto con una mano profumata. Gli chiedo di tagliarmi la gola di netto proprio mentre tramonta il sole e sale l’aria fresca della notte. Lo fa in silenzio, sento la sua mano sinistra sui miei occhi le sue labbra sulla mia fronte, il freddo pizzico della lama che mi sbarra il respiro.
Spygirl a Logan: Quando ha detto di aver fatto questo sogno? Che ne penserebbe se le dicessi che ho impressione che sia piuttosto un pensiero a metà tra sogno e veglia?
Logan a Spygirl: Si, è vero non l’ho sognato, non è un sogno. Ma vorrei che lo fosse
Spygirl a Logan: È comprensibile, saprebbe dirmi perché?
Logan a Spygirl: No, Non posso dirglielo. Perché in realtà c’è un altro sogno. Riguarda Bombshell
Spygirl a Logan: Il sogno che non vuole dirmi riguarda Bombshell?
Logan a Spygirl: Si. Quello che non voglio raccontarle, quello vero.
Spygirl a Logan: Ogni racconto che lei mi porta è comunque parte di lei e quindi è importante lavorarci, ecco perché non importa se non vuole raccontarmi il sogno su Bombshell. Le farò comunque una domanda sul suo racconto.
Logan a Spygirl: Cosa…
Spygirl a Logan: Chi è quel giovane che le taglia la gola?

*****

Giorno tre, notte (di Romeo Lucchi)
Non sono una star. Non sono al Roxy bar e non sto bevendo whisky, ma il fondo di una bottiglia di sambuca in un bicchiere di plastica, stropicciato e per giunta sporco di vino. Quando ero giovane c’ero stato al Roxy bar e non era come mi aspettavo. Il locale era piccolo. Entravi e c’era il bancone che prendeva tutto il lato sinistro. Niente tavolini. Questo è quanto ricordo, ma si sa i ricordi ingannano. Come la vita. All’inizio è piena di aspettative e a mano a mano che passa il tempo ti accorgi che riesci a collezionare solo fallimenti e di delusione in delusione ti convinci che nulla ha un senso. Ho cominciato a stilare un elenco delle fobie che ho coltivato in questi mesi. Forse lo farò avere alla carpa. Ci devo ancora riflettere. Per il momento mi piace riportare gli ultimi acquisti fatti su questa pagina. Paura di essere sporco. Non solo in senso fisico. Paura degli specchi, paura dei missili e delle pallottole. Di questo ne parlerò sicuramente a Spygirl perché temo che la forma fallica degli oggetti in questione potrebbe suggerire un disturbo più profondo di carattere sessuale. Paura della gravità. Non solo terrestre. Paura del silenzio, paura del rumore, paura di guardare in alto, paura dei numeri, paura dei polli, dell’aglio e delle amnesie… paura di perdere Bombshell. Ho sete. Voglio versare altra sambuca, ma è finita. Anche la canzone alla radio è finita. Il vuoto è enorme, voglio reagire, ma non ne ho voglia. Anche di questo voglio parlarne con la carpa.

Continua… scegli tu come, scrivi a redazione@toscanalibri.it e/o bellmaxi@tin.it

11 Domino 11

Come ogni lunedì, ci ritroviamo per il consueto appuntamento con il Domino Letterario che vi permette di assistere, stando a casa, a presentazioni a catena di libri. Tocca a Mattia Nocchi, classe 1979, toscano, batterista mancato, giornalista. Ha diretto la prima radio universitaria italiana, a Siena, prima di lavorare per cinque anni a Milano nel mondo delle emittenti nazionali (Rtl 102.5, Radio 24 – Il Sole 24 Ore). Da qualche anno si occupa di comunicazione politica, istituzionale e altre stranezze a Firenze, presso la Regione Toscana. Mattia raccoglie il testimone di Nicola Nucci e propone la lettura della raccolta di racconti di Riccardo Lorenzetti “Il paese più sportivo del mondo” (Absolutely Free Editore). Clicca qui per il video sula canale YouTube
Mattia Nocchi
Il libro – “Quando Paolo Rossi segnò il gol al Brasile… quando Villeneuve fece quello storico sorpasso… quando Coppi conquistò l’Alpe di Huez…”. Sono innumerevoli i quando entrati a far parte della nostra vita. Questo libro racconta quei momenti. La normalità dei protagonisti unita ai grandi momenti sportivi che si trovano ad assistere, anche solo davanti a una radio, a una televisione, a un maxischermo. Come quel tale che festeggiava i trent’anni di matrimonio e gli chiesero cosa ricordasse di quel giorno: “Praticamente nulla, se non che era domenica e che la Fiorentina vinse a Napoli. Segnò Antognoni, su punizione.” E poi c’è un piccolo paese toscano, più immaginario che reale. Lo chiamano “il paese più sportivo del mondo“, gli abitanti narrano storie alle quali non sarà difficile affezionarsi, perché parlano di noi. Gli abitanti del paese sono i motori delle storie: maestri e contadini, segretari comunali e preti, bottegai e bariste prosperose. Il paese più sportivo del mondo racconta storie così, dove ognuno è a suo modo protagonista di qualcosa che passa alla Storia.

 

Qui la playlist completa

#ioraccontobreve numero speciale 9

Ebbenesì, ebbenesì a volte ritornano.

#ioraccontobreve fa (eccezionalmente) nove. Per molti singolari motivi che meritano tutti di essere raccontati. I motivi sono un problema informatico, un altro problema informatico più grave e un dinosauro.

Insomma dai, microraccontiamolo:

Ricevette un bel racconto e lo selezionò per la settimana a venire. Lo mise nella cartella dei pubblicabili, già bello che pronto. Ma venne un virus informatico che scombinò le cartelle e un po’ anche il suo stato mentale, e il racconto finì tra le sue fatture. Il racconto non ci stava male, tra tutti quei numeri, ma era perplesso. Alla fiera informatica dell’est, per due soldi, comprò un nuovo pc. Ma venne la notte e arrivò un bastimento di mail arretrate, cariche di nuovi pezzi e racconti. Due, un racconto e un articolo, erano era assai belli e finirono nella cartella dei pubblicabili. L’articolo parlava di un dinosauro. Ma venne la fetida tempesta che il computer di nuovo stonò. Il raccontino questa volta finì tra i file temporanei e lì si stava proprio male, sospesi come in un limbo di insicurezza sul proprio destino. Ma venne l’angelo del pc che i due files spersi finalmente trovò. Quando ritornarono nella loro cartella, l’articolo sul dinosauro era ancora lì….

Il racconto finito tra le mie fatture è quello di Simona Trevisi, anima di Toscanalibri.it e di tutte le sue attività online. Se siete stati pubblicati lì, lei vi ha letto di sicuro e altrettanto di sicuro lo dovete a lei. Mi scuso con lei quindi, doppiamente.  Giornalista, nata a Bergamo, è laureata in Scienze della Comunicazione. Dal 2005 collabora con la società Primamedia per conto della quale gestisce le attività e gli eventi curati da Toscanalibri.it. Qualcosina in più sulla sua biografia poi, mi sa che la potete immaginare leggendo il suo racconto…

MORFEO IN SMARTWORKING

morfeo

Finalmente era scivolato tra le braccia di Morfeo. Ci erano volute due ore di canti sussurrati, pacche sul sedere a ritmo di rumba, carezze amorevoli e storie raccontate a mezza voce. Riuscì a staccarsi dalla morsa del figlio dormiente e si mise in posizione supina. Con una mossa degna di un ninja tese le gambe fuori dal letto, poggiò i piedi a terra e lentamente si tirò su trattenendo il respiro, attenta a non compiere passi falsi. Con la testa era già in postazione davanti al computer, ma il suo ginocchio ebbe l’ardire di scricchiolare. Il rumore ruppe il silenzio in cui era immersa la stanza. Atterrita si girò verso il bambino che, subito desto, sbarrò gli occhi e cominciò a mugolare tendendo le braccia. L’impossibilità di praticare lo smartworking in solitaria era sempre più lampante.

Romeo Lucchi invece, non nuovo a questi lidi, è l’autore del racconto (quello svaporatomi davanti agli occhi durante un temporale qualche sera fa) e del pezzo che segue. Il racconto è di effetto, e non c’è affatto bisogno di commentarlo, se non forse di aggiungere una osservazione che mi viene spontanea, visto che lui è attore e si occupa di teatro e io in questo momento sto recensendo un libro su Sordi. Non so se lui sarà d’accordo, ma troverà certo il modo di dirmelo. C’è infatti una cosa che unisce un attore in gamba e uno scrittore altrettanto valente, ovvero il saper maneggiare i registri comici e tragici con la stessa efficacia. Leggete su questo sito i suoi La tazza del vate o Volare e poi questa storia e mi direte…

DUE DOMANDE

Catturfiore su tomba

Perché si muore? chiese il bambino al vecchio. Il vecchio spostò lo sguardo sulla tomba della moglie. Il bambino attese con gli occhi spalancati come se la risposta dovesse passare da lì. Il vecchio si piegò sulla tomba, prese il vasetto con i fiori appassiti e li gettò nel bidone vicino, andò alla fontana e mise l’acqua nel vaso dove sistemò un mazzetto di aster viola. Ripose il vaso sulla tomba e accarezzò la testa del piccolo. Perché si nasce se poi si deve morire? chiese il bambino. Il vecchio lo prese per mano e insieme si allontanarono senza risposte.

  E veniamo all’articolo, sempre dello medesimo Lucchi. La storia è nota, ed è quella dell’autore guatemalteco Augusto Monterroso, autore del microracconto cosiddetto più breve della storia Al suo risveglio, il dinosauro era ancora lì. (A.Monterroso). Ma non è questo il suo punto.

dinosauro

Persino Umberto Eco, oltre a Calvino, ci si è confrontato. La traduzione italiana sopra è per l’appunto sua, di Eco. Cuando despertò, el dinosaurio todavìa estaba allì. recita la storiella in lingua originale. E qui casca l’asino, anzi, il dinosauro. È proprio necessario fare dotte analisi di questo racconto ovvero stabilire se A) un tizio si sveglia improbabilmente accanto ad un dinosauro , B) un tizio sogna molto realisticamente un dinosauro o C) chi si sveglia è esso stesso un dinosauro? Romeo Lucchi ha ragione, proprio non lo è, non ci è assolutamente necessario per apprezzare e giocare con il racconto nel modo tanto caro a Calvino: come dice in un film il saggio Samurai tentando di spiegare l’arte della spada a un occidentale no mente, troppa mente.  Apriamo solo le porte all’immaginazione e godiamoci i microracconti. Che poi in ogni caso, ci facciamo influenzare tanto, inconsciamente, da un buon racconto che spesso ogni nostro sofisticato sforzo di interpretazione oggettiva di un testo naufraga comicamente proprio sul nascere…il nostro pregiudizio sarà sempre più forte. Volete una prova? Fate caso a come è tradotto in inglese su wikipedia (https://en.wikipedia.org/wiki/Augusto_Monterroso) il nostro racconto : When he awoke, the dinosaur was still there. Secondo voi, piazzando lì quel HE che idea della storia aveva in mente il traduttore? A), B) o C)?

LA POTENZA DELLA MICRONARRAZIONE

Al suo risveglio, il dinosauro era ancora lì. (A.Monterroso)

È potente la micronarrazione. Una sola frase apre la porta dell’immaginario.

Lasciamo da parte le incongruenze storico scientifiche e proviamo a immaginare la scena insieme.

Vediamo il cacciatore che diventa preda. Riesce a trovare rifugio in una caverna, passa una notte quasi insonne e finalmente dopo un breve riposo, al suo risveglio, vede il peggior incubo della sua breve vita fermo ad aspettarlo fuori dalla caverna. Ancora.Oppure potremmo dare un taglio più contemporaneo alla storia e immaginarci la mattina dopo una folle notte di eccessi (lascio alla fantasia del singolo stilare l’elenco delle sostanze psicotrope assunte nel corso della notte).

Risveglio.

Primo pensiero: mioddio sto ancora come i pazzi!

Secondo pensiero: quest’acido non mi lascia più!

Del racconto Il dinosauro Calvino diceva: “Io vorrei mettere insieme una collezione di racconti di una sola frase, di una sola riga. Ma finora non ho trovato nessuno che superi quello del guatemalteco Augusto Monterroso”.

Questa la raccontiamo insieme, al via il contest #ioraccontolungo. Ecco l’incipit

Al via il contest #ioraccontolungo. Eccoci qui con 3 personaggi nuovi nuovi in cerca di una storia. Ma non di un solo autore, bensì di molti, potenzialmente infiniti. A quattro mani con Laura Del Veneziano (che ringrazio tantissimo per la sua disponibilità, la finezza nella scrittura e soprattutto….l’amicizia!) e con l’aiuto di Toscanalibri.it ci siamo confrontati con quanto di più difficile uno scrittore possa e debba fare: dare vita a dei personaggi, plasmarli dalla creta delle parole e poi… soffiargli dentro una voce, anzi di più, farli dialogare tra di loro. È l’inizio di un romanzo, di un racconto, di un diario? Non lo sappiamo, non sappiamo chi esattamente sia Logan e che rapporto ci sia con Bombshell. E Spygirl, è quello che sembra? E che ruolo giocano il sogno raccontato da Logan e quello che invece si rifiuta di raccontare? Col vostro aiuto, se vorrete, tentiamo un esperimento: date a turno un giorno di vita a questi personaggi, portando la storia da voi, con voi, dove volete. Pubblicheremo, ormai lo sapete, fedelmente i vostri contributi. Speriamo siano molti, speriamo che siano perfino molto migliori del nostro incipit.  Come finirà?

senza volto

Ecco l’incipit.Qui invece se preferite lo si può scaricare

Mandate i Vs contributi, se volete a bellmaxi@tin.it e a redazione@toscanalibri.it

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GIORNO UNO

Sono LOGAN, ed ero un uomo. Ora mi sento più un bozzolo in evoluzione verso non so che cosa, vivo come dentro ad un proiettile sparato dalla canna di un fucile e ho paura del mondo. La mia unica amica è SPYGIRL ma amo BOMBSHELL. Pago SPYGIRL per essermi amica, pagavo BOMBHELL per dormire con me ma ora non più. BOMBSHELL ora è lontana, bloccata in un’altra città che una volta era anche la mia. Anche SPYGIRL è lontana, ma meno. Questa sarà la prima pagina del mio diario. Il mio diario lo scriverò su un rotolo di carta, di quelli da disegno, per due buone ragioni. Primo perché me il mio diario me lo sono sempre immaginato così, secondo perché avere paura del mondo significa grossomodo soffrire di tutte le fobie esistenti messe insieme oppure di nessuna e così mi illudo che questo grosso e rassicurante rotolo sia infinito tanto quanto il tempo che mi ci vorrà a capire. La terza delle due buone ragioni è che me lo ha chiesto proprio SPYGIRL nella nostra ultima seduta. E a lei non so dire di no come invece dico spesso a BOMBSHELL. Quando SPYGIRL mi chiede qualcosa avverto uno spasmo freddo qui, alla bocca dello stomaco. Ora SPYGIRL dice che questo rotolo può servire a specchiarmi di nuovo la mattina, ma riconoscendo l’immagine. In questi mesi di arresti domiciliari forzati ho solo nutrito lo stomaco, chiuso la mente e coltivato paure. Qualcuno ha lavorato per me, qualcuno ha pulito per me le strade di questa città che non conosco, lucidato la scrivania del mio ufficio, pagato le bollette, fatto la spesa. Non io. Ricordo una frazione insignificante del tempo trascorso a casa in questi mesi. Se monto le immagini mentalmente mi trovo davanti quasi solo una serie stroboscopica di albe e tramonti intervallate dal cigolio della porta del frigo che si apre e dal coperchio tazza del cesso che si chiude. Il resto si è perso, e non c’è più niente di continuo nella mia vita, ma un orizzonte latteo e poroso, e solo intermittenze e curve cieche sul mio cammino. Un uomo sceglie una casa come ogni nave prima o poi sceglie un porto. C’è un’anima da mettere all’ancora, un corpo da mettere al riparo. Io non mi ricordo nemmeno più esattamente perchè un anno fa ho scelto questa casa, e comunque ora non vi trovo pace. È come avere un vestito di due taglie più stretto. Non vale la pena neanche di farlo allargare. E SPYGIRL complice il lockdown nel frattempo mi ha anche cacciato dal nostro rifugio. Il suo bello studio accogliente che profumava di pelle. Un po’ quella delle sedie e del lettino, un po’ la sua.

senza volto 2

Così oggi ho protestato.

SPYGIRL a LOGAN: Vede, lei non mi ha detto niente di strano. Una delle cose che più spesso mi è capitato di sentirmi dire in anni di professione è stato che entrare-  fisicamente nella stanza dell’analisi al mio studio è come entrare in un mondo parallelo, diverso. Le confesso volentieri un piccolo tratto personale: In effetti io conservo lo stesso ricordo della stanza della mia analisi. Così quando dopo qualche tempo dalla fine del mio percorso sono tornata a trovare il mio analista, che nel frattempo aveva trasferito lo studio, mi sono sentita strana, fuori posto ed ho sentito che la mia analisi personale, ormai conclusa, era in effetti al tempo stesso custodita nello studio precedente e gelosamente conservata dentro di me.

Oggi dobbiamo accontentarci, capisce?  Ci aspetta un compito in più in questa assurda situazione di chiusura, un altro compito: dobbiamo trovare, pensare un secondo spazio che le permetta di continuare a lavorare con sè stesso, uno spazio diverso, non fisico, che in fin de conti, forse non può nemmeno preoccuparci troppo perché si tratta solo di uno spazio parallelo, temporaneo, il suo spazio interno.

SPYGIRL mi dà del Lei, si irrigidisce che provo a darle del tu. Dice che io posso scegliere come rivolgermi a lei ma che continuerà a darmi del “lei” fintanto che non sentirà una necessità diversa. Sembra quasi me ne faccia una colpa ed ho impressione che voglia dirmi tra le righe che dare del “tu” attenua le sue capacità è come mettere la sordina a una tromba.

Beh, e che c’è di male, a me piace Miles Davis.

GIORNO DUE

LOGAN a BOMBSHELL: Ti ho odiato perché hai riso dei miei peccati, ti ho amato perché mi hai aiutato a commetterne infiniti altri.  Poi, un giorno la corrente si è invertita, ed è diventato precisamente l’opposto. Sorprendentemente, ci andava bene a tutti e due così. Tutto è possibile in fondo, stasera al tramonto la luna piena si è ingoiata una striminzita falce di sole. Subito dopo, qualche mese fa, ci hanno tolto lo spazio come si tira via l’aria da un sacchetto. E in quel sacchetto non c’è più tempo, non c’è più aria né gravità.  E sono triste, impaurito, disperato perché io sono il messaggio e tu la bottiglia. O forse il contrario, in fondo non cambia. Non possiamo chiedere aiuto che insieme, ma non possiamo farlo insieme perché siamo dispersi su due isole diverse. Ho pensato spesso che la tua faccia fosse uno specchio. Ho pensato che la tua mano fosse un cavallo veloce. Ho pensato che le tue braccia fossero una giostra per il mio corpo. Sono preda delle mie paure adesso. Posso sentirti, qualunque cosa ciò voglia davvero dire.

Penso che la solitudine sia una specie perversa di cecità. Non vedi che parti di te stesso, ma non vedi te stesso. E i sensi si amplificano tanto da far male. L’udito soprattutto. Un po’ l’olfatto. Tutto quello che hai lasciato in questo appartamento non profuma più, marcisce. Fiori, maglioni, frutta. Solo il gusto è diminuito. Non mangio più, prevalentemente bevo. Non dormo più, prevalentemente bevo.

 Provo ad alzarmi, mi affaccio alla finestra. C’è una fila ordinata di persone che cammina sul bordo del fiume e file più piccole fuori ai negozi.

Il mondo è diventato un terrario.

La mia vicina di pianerottolo è una formica rossa e grassa, è vorace. Compra, stipa la casa, produce spazzatura che pressa e getta con passo lento. Ho pensato che la tua pelle fosse una vela. Se la carezzavi, si tendeva. La carezza è un pettine per l’anima. Dopo è bella liscia e lucente.  Belli anche i tuoi massaggi, ora li vorrei, ma mi mancano più le carezze. La carezza sta al massaggio come un vino bianco fermo sta a un rosso corposo. Non si può iniziare con un rosso.

Se apro il pc, va tutto male. Il mondo dentro il pc è un acquario.

Ieri ha chiamato il mio capo. Il mio capo è un grosso pesce rosso.  Non intelligente, ma in compenso con la bocca sempre aperta. Mi ha detto che il lavoro che avevo mandato era soddisfacente.

Mi manchi. Forse ti amo. L.

BOMBSHELL a LOGAN: Io non ho mai riso dei tuoi peccati e nemmeno ne ho commessi altri con te. Ogni uomo è un po’ acqua e un po’ sale: oltre un certo limite non si può aggiungere altro sale, perché l’acqua non lo riceverebbe e il sale non si scioglierebbe più. E così io non ho aggiunto nessun peccato alle tue maledizioni.  Anche io ho pensato che la tua mano fosse un cavallo veloce, poi che fosse un aereo con un grande amo attaccato capace di pescarmi via da questo brutto orizzonte. Io non mi sento dentro ad un acquario o ad un terrario. Almeno là dentro ci sarebbe vita. Io mi sento dentro ad una di quelle palle di vetro con la neve di plastica.  Ti amo pressappoco lo stesso. B.

GIORNO TRE

Oggi ho chiamato SPYGIRL. SPYGIRL è un pesce particolare, una carpa koi.  Non mi so spiegare perché la immagino così, non lo saprei proprio dire. La immagino nuotare placida nel suo studio, ora che non ci viene nessuno. Odio quando cambia quello sfondo del pc e lo fa ogni volta. E poi quando muove il braccio destro, il suo corpo si deforma. Se invece muove il sinistro, quello addirittura sparisce. Questa volta il suo braccio sinistro pavesato a festa e carico di vistosi bracciali spariva inspiegabilmente inabissandosi dritto dritto come un galeone spagnolo nell’acqua cristallina davanti ai Faraglioni di Capri.

Doveminchiaèlamiastanzadoveèlamiastanzadoveèlamiastanzailmiolettinolihaivendutimessiinsoffittacazzodimmiqualcosaperfavore. Vorrei dirle.

E invece dico buongiorno.

Poi le ho raccontato un sogno, senza fermarmi. Una storia in un singolo lungo sorso.

LOGAN a SPYGIRL. Il sogno è questo. Potremmo dire che all’inizio il sogno sono quasi solo io. Io nel sogno sono vecchio e le tre canne di bambù sono ancora al loro posto. Appoggiate alla porta della rimessa. Anni fa erano la spina dorsale di magnifiche orchidee. Adesso sono solo canne coperte di muffa. In giardino c’è come odore di rinchiuso; c’è un’erba alta e vuota, gialla, ispida e secca come i miei tappeti: ha messo in ombra e soffocato il prato. Quell’erba è dello stesso colore del sole, che martella sulle tempie come un vino di poco prezzo, e soffrigge nelle orecchie assieme al sangue che, nonostante tutto, tenta di scorrere. Inchiodato Ad una sedia vedo le ombre infrangersi come onde sulla battigia di pietra serena della soglia. Quelle del giardino sono sempre più grandi ed invadenti, segno evidente delle molte piante che ho lasciato incolte. Quelle della casa non le conto più, tanto sono onnipresenti, rabbiose, invadenti. Quando si è vecchi si accendono sempre meno luci in casa. Così, con le tende tirate, nei giorni peggiori l’alba si confonde con il tramonto. Leggo, ascolto musica, parlo di me con me stesso. Nel parco ci sono molti alberi secchi, malati. E poi ci sono tre alberi danzanti, all’apparenza perfettamente sani uno accanto all’altro, che la malattia nella sua conta ha saltato. Adesso ondeggiano pericolosamente, perché sotto l’azione del vento non possono più appoggiarsi alle fronde dei loro vicini. Le tre canne di bambù non sono più al loro posto.  Vi è un giovane che le taglia con una lama affilata, di quelle così acuminate che scintillano. Le netta con uno straccio, le taglia in pezzi più piccoli con la massima cura. Poi le pulisce dal di dentro e vi pratica dei fori. Soppesa il lavoro fatto, sembra scegliere il pezzo migliore. Vi pratica un invito per le labbra e si mette a suonare. Mi guarda un po’ sorpreso come se dovessi conoscere tanto quel viso che quella nenia. Poi mi sorride senza pretese come se osservasse un bambino e mi accarezza il volto con una mano profumata. Gli chiedo di tagliarmi la gola di netto proprio mentre tramonta il sole e sale l’aria fresca della notte. Lo fa in silenzio, sento la sua mano sinistra sui miei occhi le sue labbra sulla mia fronte, il freddo pizzico della lama che mi sbarra il respiro.

SPYGIRL a LOGAN: Quando ha detto di aver fatto questo sogno? Che ne penserebbe se le dicessi che ho impressione che sia piuttosto un pensiero a metà tra sogno e veglia?

LOGAN a SPYGIRL: Si, è vero non l’ho sognato, non è un sogno. Ma vorrei che lo fosse

SPYGIRL a LOGAN: È comprensibile, saprebbe dirmi perché?

LOGAN a SPYGIRL: No, Non posso dirglielo. Perché in realtà c’è un altro sogno. Riguarda BOMBSHELL

SPYGIRL a LOGAN: Il sogno che non vuole dirmi riguarda BOMBSHELL?

LOGAN a SPYGIRL: Si. Quello che non voglio raccontarle, quello vero.

SPYGIRL a LOGAN: Ogni racconto che lei mi porta è comunque parte di lei e quindi è importante lavorarci, ecco perché non importa se non vuole raccontarmi il sogno su BOMBSHELL. Le farò comunque una domanda sul suo racconto.

LOGAN a SPYGIRL: Cosa…

SPYGIRL a LOGAN: Chi è quel giovane che le taglia la gola?