I premiati e i testi della Terza Edizione del premio ‘Per Vie Brevi’ (e il regolamento della quarta edizione che è già aperta)

Ebbene sì. Abbiamo letto racconti brevi di notevole effetto e anche qualche riuscita prova letteraria. E ci siamo commossi. Così abbiamo scommesso sul futuro (2024-2025) un’altra volta. Grazie in primis a Max Arcangeli e agli sponsor per averci creduto e per crederci ancora.

QUI SOTTO IL REGOLAMENTO 2024:

COMUNICATO STAMPA

A Firenze la bellezza del raccontare breve…

Le ‘vie brevi’ danno anche quest’anno risalto ai mezzi espressivi dei giovani studenti di tutta Italia: il Premio Letterario “Per vie brevi, giunto alla sua terza edizione, registra il record di partecipanti.

Dopo cinque anni di lavoro con il progetto ‘Recensio’ in giro per l’Italia con classi, professori e studenti di tutte le età e indirizzi di studio il progetto ha avvicinato migliaia di studenti al mondo della lettura e dell’espressione letteraria, con risultati didattici tangibili.  Da questa esperienza, tuttora in corso, e da un’idea di Massimiliano Bellavista (thenakedpitcher.com) supportata da Diego Palma de “La Voce della Scuola Live”, è nato nel 2022 un concorso letterario nazionale, in collaborazione con l’associazione “La Parola che non muore”, unico nel suo genere: il premio “Per vie brevi”.

Per Vie brevi non è un concorso come gli altri, proprio perché prima di tutto vuole essere un gioco e una porta di accesso messa a disposizione dei giovani al fantastico mondo della narrazione e della letteratura. È fondamentale spingere gli studenti a credere nella potenza e nella bellezza dei propri mezzi espressivi. Per Vie Brevi, ancora, non è solo un premio letterario nazionale ma anche un premio itinerante, secondo un format che potrà realizzarne edizioni abbinate ai festival promossi in tutta Italia dall’Associazione ‘La parola che non muore’. Il premio è riservato ai ragazzi dai 13 ai 20 anni.

 Vincitore di questa edizione è il racconto Apatia di Sabrina Caputo, studente dell ‘IS Alfonso Casanova’ (Napoli)autrice di una storia a tinte forti supportata da un linguaggio incisivo ed essenziale, un’esperienza umana che già dalla prima lettura scuote e non si dimentica facilmente.

Gli altri quattro vincitori, trattano anch’essi temi di grande impatto umano e in qualche modo tutti in vario modo legati alla difficoltà di comunicare il proprio difficile vissuto e le profonde emozioni che esso ha scatenato, a cominciare da Saya di Marta Manicone, del Liceo delle Scienze Umane Sigonio di Modena, che esplora con grande capacità tecnica il difficile e spesso violento rapporto con i demoni interiori.  Il racconto si è classificato al secondo posto a pari merito con Un puzzle di pezzi unici di Giulio Petrioli, del Liceo Scientifico Scienze Applicate ‘T. Sarrocchi’ di Siena, che affronta con molta delicatezza il tema dello sviluppo della propria personalità e del rapporto con gli altri. Pari merito al terzo posto anche altri due racconti molto interessanti, quali La Casa dei girasoli di Nives Confortola, studentessa del Liceo linguistico; I.I.S. “Alberti” di Bormio (SO), davvero originale nel modo di descrivere la condizione della vecchiaia e il bilancio di una vita, e Zitti tutti, di Sam Milone, dell’IS Alfonso Casanova di Napoli, che narra con grande incisività ed efficacia i contorni di un crudo e tragico contesto familiare.

Ieri 13 Aprile, nell’ultima giornata di un Festival ben riuscito e denso di interessanti e seguiti appuntamenti sia in presenza che in streaming, si è  svolta la premiazione del concorso alla presenza dei ragazzi premiati e delle loro famiglie e insegnanti in rappresentanza delle Scuole di appartenenza,  e si sino ufficialmente aperti i termini per l’invio dei racconti brevi per la quarta edizione del Premio. Per maggiori informazioni scrivere a premio@perviebrevi.it

I TESTI DEI VINCITORI

APATIA ( PRIMO CLASSIFICATO)

Questa è la storia di come sono morta.
Prima ero una ragazza spensierata, sempre col sorriso stampato in faccia, insomma, vomitevole.
Mio fratello era un malato terminale di cancro, ma a lui non è mai importato. Non si è mai fatto
mancare nulla dalla vita nonostante la malattia lo stesse consumando dall’interno.
Era un uomo forte, l’unica persona che io avrei mai potuto realmente amare. Finché il 21 settembre 2016, come dimenticarlo, morì.
Ricordo tutto confuso, sirene, luci, urla interrotte da singhiozzi disperati. Quella fu l’ultima volta,
l’ultimo giorno in cui sentii realmente un’emozione.
Il dolore mi penetrò nel cuore, rinchiudendolo in una morsa dolorosa e prendendo tutto quello che fino ad allora racchiudeva la mia essenza vitale, lasciando solo una cosa: il vuoto, l’apatia.
Non avevo bisogno di nessuno, non volevo quegli sguardi compassionevoli addosso, non volevo una parola di conforto. Volevo solo il silenzio.
Mi sono resa conto di aver scelto la strada più facile spegnendo i sentimenti e non me ne pento. Alla fine non esistono cose giuste o sbagliate.
L’essere umano ha quella voglia irrefrenabile di dare un nome a tutto. Non provi nulla? Sei apatico.
Ti emozioni per qualsiasi cosa? Sei un sentimentalista. Insomma, non siete mai contenti di nulla.
La morte non è nulla quando ti senti morto dentro.
È quello che sono io adesso, un mucchio di carne e ossa privo di tutto, come un guscio vuoto.
Non mi resta che dirti addio, inutile ammasso di carta pieno di inchiostro.

SAYA ( SECONDO CLASSIFICATO)

Lei è lì che mi guarda, mi osserva.
Apro gli occhi, mi alzo e me la ritrovo davanti al letto, con un ghigno stampato sul volto. Non
apre mai la bocca, mi parla con gli occhi. La sua aria giudicante mi fa perdere la ragione.
“Perché mi guardi così? Cosa ho fatto stavolta”. Non risponde, non si muove. Non dice
niente, ma io capisco tutto.
E’ vestita di nero, indossa un cerchietto blu notte che le sposta i capelli dal volto. E’ senza
scarpe, i suoi piedi sono lividi. Fisicamente sembra una bambina, bassa ed esile, ma il suo
sguardo, quello no. I suoi occhi appartengono a una donna che nella vita ne ha viste molte.
Occhi di qualcuno che ha l’esperienza necessaria per poter permettersi di giudicare l’altro.
Così non me la prendo, non è cattiva, è fatta così.
Non conosco il suo nome, forse neanche lo possiede.
A volte la chiamo “Saya”, ma non si gira mai.
Vorrei sapere del perché faccia così, ma non credo mi sarà concesso.
Passiamo le giornate insieme, chiuse nella nostra stanza.
Le passo il vassoio, nella speranza che mangi qualcosa, ma lei no, si nutre del mio dolore; il
suo cibo sono le mie lacrime, la sua acqua le mie urla.
A volte provo a cantare qualcosa per vedere in lei un cambiamento d’espressione. Non un
sorriso, non un aggrottamento di sopracciglia.
Niente di niente. Il nulla.
I suoi occhi hanno lo scopo di ferirmi, giudicarmi, insultarmi.
E’ da quando sono qui che è con me, o forse no, non ricordo. In verità non so neanche
quanto tempo sia passato dal mio arrivo. Una settimana, o forse due?
Le chiedo se sta bene, le chiedo se ha fame, le chiedo se vuole parlare.
Passo le giornate a pensare ad un modo per farle comunicare qualcosa e più la osservo più
mi giudica.
Non parla, ma sento che mi sta insultando, so che cosa pensa di me.
Quel ghigno, quel maledetto ghigno dice più di molte parole. Il suo mutismo ferisce più di un
coltello.
Faccio davvero così schifo da non meritare nemmeno una conversazione?
Un “ciao” basterebbe.
Così urlo e piango. La stanza è piena di tanti piccoli soldatini di plastica, così quando le voci
iniziano, li prendo e glieli scaravento contro.
Qualche volta ho provato a sbattere la testa contro il muro per farle tacere, le voci, ma non è
servito. I muri sono troppo morbidi per lesionarmi. In effetti qui è tutto così ovattato, tutto
tranne loro. Non sempre ci sono, ma quando partono è difficile interromperle.
Ho provato a chiederele saya se le sente anche lei, col suo sguardo mi ha dato della matta.
Io non sono matta, sono solo sola.
Io, dall’indonesiano, Saya

UN PUZZLE DI PEZZI UNICI ( SECONDO CLASSIFICATO)

Luca si sentiva come un pezzo di puzzle mancante in quella scuola. Passava le giornate a cercare di scoprire come potesse trovare l’incastro giusto per non sentirsi sempre fuori posto e diventare parte di quel puzzle, ma ogni volta sembrava perdere solo tempo. La sua stessa identità gli sembrava qualcosa di indefinito e sfuggente.
Un giorno, durante una gita scolastica al museo con i suoi compagni, si soffermò davanti a un dipinto astratto, che rappresentava una figura umana frammentata in mille pezzi. L’artista aveva usato colori vivaci e forme geometriche per creare un’immagine che sembrava esplodere dalla tela.
Luca guardò a lungo quel dipinto, poi decise di fermarsi davanti a uno specchio e osservarsi
attentamente. Si guardò negli occhi, poi si focalizzò sulle sue mani e sul modo in cui si muovevano e infine su quei suoi bizzarri capelli ricci. Iniziò a chiedersi quali fossero le sue passioni, cosa lo facesse sentire vivo e felice e cosa lo rendesse diverso dagli altri.
Riflettendo su se stesso, iniziò a sentire uno strano senso di calma. Ad un tratto, non gli importava più di sentirsi un pezzo di puzzle mancante. Si rese conto che la sua identità era composta da mille sfaccettature e che lui non era solo un pezzo mancante, ma un puzzle di pezzi unici e speciali che aspettavano solo di essere messi insieme. E finalmente non si sentì più fuori posto.

LA CASA DEI GIRASOLI (TERZO CLASSIFICATO)

Diritto, rovescio, diritto, rovescio.
Sulla soglia di casa siede su un dondolo di legno, si spinge avanti e indietro…
Il vento che soffia già da giugno le accarezza le rugose gote. Corre, come un bambino, in
mezzo ai prati, smuovendo le spighe di grano al suo passaggio.
Si ricorda ancora di quando era una fanciulla.
Di quando anche lei, spensierata, correva nei prati libera con il vento che, capriccioso,
continuava a tirare il gomitolo di lana come se volesse tenerlo per sé.
Diritto, rovescio, diritto.
E intanto continua a tessere con i ferri una lunga coperta, iniziata da giovane e mai finita.
Pensa che forse, un giorno, riuscirà ad arrivare alla conclusione: continua a tessere, con le
sue stanche mani.
Rovescio, diritto, rovescio.
Come un girasole, che ha catturato la luce del giorno e di notte giace afflosciato e cascante,
così giace lei, sola, unica rimasta in un campo di fiori tutti appassiti.
La vecchiaia le ha portato via i migliori amici e, con sé, i dolori del ricordo.
Vede il bambino di vento tenderle la mano.
Diritto, rovescio, diritto…
Sospira, e realizza che la sua coperta rossa rimarrà senza fine per sempre.
Guarda indietro, per l’ultima volta, la casa dei girasoli, dove altri anziani come lei aspettano il
loro turno di volare.
Si appoggia al vento, stanca, e insieme si librano sopra il mare di vasti campi.
Tutti i fiori, prima o poi, verranno portati via dal vento…
E ora vola libero nel cielo,
il nostro girasole.

ZITTI TUTTI ( TERZO CLASSIFICATO)

Un sassolino, poi un altro e dopo poco un altro ancora. Mi ricorda quando li facevo saltellare sulle onde del mare. Ero felice, credo, ho scordato cosa si provasse ad esserlo. Ora sono sotto una montagna di questi sassolini, più grandi di quelli che lanciavo, ma NON MI INTERESSA. Non mi fa star bene e non mi fa star male, non mi interessa risalire, né rimanere qui. Mio padre non è mai stato molto presente durante la mia infanzia o la mia adolescenza, in realtà nemmeno una volta diventato adulto. Forse è per questo che al suo funerale non versai una lacrima. Mia madre mi stava vicino, ma l’immagine di me appisolato sulla panca della chiesa durante la funzione in occasione della sua morte rendeva esplicito il fatto che NON MI INTERESSAVA. Probabilmente era lei a necessitare che qualcuno le stesse vicino. Mio fratello, invece, non sopportava più la situazione, provò a parlarmi, ma io sentivo solo urla disperate in cerca di una mia reazione. Non capisco perché si dimenasse tanto… non ero felice, ma nemmeno triste. Meglio così, no? In fondo, i sentimenti distruggono l’uomo e di fatti lui ne era una vittima. “Sei un apatico di merda!”, queste le sue parole.
Ora per colpa sua sono qui a parlare con una sconosciuta che mi pone milioni di domande, le
manette gelate ai polsi, solo per aver posto fine a quelle grida fastidiose. Almeno lui sarebbe
contento di sapere che una reazione l’ho avuta eccome…

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